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Il parere dell’economista capo di Raiffeisen

Edizione 18.04.2024

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Fuori dai guai

Che cosa c’è di meglio che tagliare il traguardo lasciandosi alle spalle i concorrenti che devono ancora completare un altro giro? Una sensazione di puro appagamento. Ed è proprio così deve sentirsi Thomas Jordan. In qualità di presidente della Banca nazionale svizzera a marzo ha potuto annunciare a nome della prima tra le banche centrali principali di aver sconfitto l’inflazione, dando così il via al ciclo di riduzioni dei tassi d’interesse, mentre gli altri governatori delle banche centrali stanno ancora combattendo contro lo spettro dell’inflazione.

In effetti, in Svizzera l’inflazione è tornata sotto controllo. A dimostrazione di questa evoluzione, malgrado non occorresse un’ulteriore prova, l’inflazione è scesa all’1% nel mese di marzo. Anche l’inflazione core si situa allo stesso livello. La tendenza dei prezzi sottostanti si riscontra ora solo debolmente. Gli effetti di secondo impatto e di terzo impatto sono praticamente inesistenti, soprattutto considerato che gli stipendi in Svizzera sono aumentati in misura soltanto moderata. La pressione sui prezzi negli stadi preliminari da parte dei prezzi alla produzione o all’importazione è pari a zero o persino negativa sulla media di tre mesi. Nel settore dei servizi le intenzioni delle imprese di aumentare o ridurre i prezzi sono in equilibrio ormai da molto tempo. Nei prossimi mesi l’inflazione complessiva potrebbe registrare di nuovo un leggere rialzo, a causa dell’incremento sia dei canoni di locazione degli alloggi che dei prezzi dei servizi. Ciononostante, nel prossimo futuro l’inflazione in Svizzera dovrebbe rimanere all’interno della fascia obiettivo della stabilità dei prezzi che oscilla tra lo 0% e il 2%. Inoltre, i rischi d’inflazione derivanti dalle locazioni più elevate sono altresì limitati. Da un lato con l’inversione di tendenza dei tassi d’interesse non si verificheranno più ulteriori rialzi del tasso d’interesse di riferimento, mentre dall’altro gli incrementi dei canoni di locazione avranno un impatto negativo sul potere d’acquisto e sulla domanda, facendo così piuttosto rallentare i prezzi.

Di conseguenza, la Svizzera è fuori dai guai dato che lo spauracchio dell’inflazione è ormai dissipato nel nostro paese, mentre all’estero lo spettro del rincaro continua ad aleggiare, in particolare negli Stati Uniti. In marzo, infatti, l’inflazione statunitense ha nuovamente esibito una crescita più marcata rispetto alle aspettative, salendo dal 3,2% al 3,5%. E questo andamento non può più essere considerato una battuta d’arresto temporanea. Per un po’ di tempo si è continuato a sperare che i valori più elevati dell’inflazione all’inizio dell’anno fossero un’anomalia, perlopiù riconducibile soltanto a determinate componenti dell’inflazione. In questo contesto le banche centrali si avvalgono di formule come l’inflazione core o supercore, le quali escludono entrambe le componenti volatili. Ora, però, i dati del mese di marzo hanno definitivamente annientato queste speranze come pure confermato che l’attuale pressione sui prezzi negli Stati Uniti non è dovuta solo alla volatilità dei prezzi dell’energia, degli alimentari e degli alloggi. In ogni caso, anche senza queste componenti, l’inflazione statunitense all’estremità attuale si colloca a un livello ampiamente superiore rispetto all’obiettivo d’inflazione, la cosiddetta inflazione target. Evidentemente la marcata crescita dei salari unitamente alla solidità della domanda continuano a consentire erosioni dei prezzi più consistenti. Come dimostrano sia i dati sui prezzi di vendita che emergono dal sondaggio dei responsabili degli acquisti, sia le cifre sulle intenzioni in termini di prezzi delle piccole e medie imprese americane per i prossimi tre mesi.

Anche la reazione sui mercati non si è fatta attendere e difficilmente avrebbe potuto essere di portata maggiore. Se alla fine dello scorso anno i mercati prevedevano ancora per il 2024 sei riduzioni dei tassi d’interesse da parte della banca centrale statunitense, la Federal Reserve, attualmente prospettano al massimo soltanto due tagli ai tassi d’interesse. Come anche in passato, negli Stati Uniti gli ultimi metri da superare nella lotta contro l’inflazione si rivelano essere sempre i più difficili. In particolare nel momento in cui la congiuntura presenta solo pochi segnali di indebolimento e il mercato del lavoro funziona di nuovo perfettamente. In effetti, va detto che la congiuntura statunitense si è lasciata ben poco impressionare dai massicci rialzi dei tassi d’interesse operati finora. In questo contesto, le fantasie di riduzione dei tassi d’interesse prospettate da parte dei mercati si sono ulteriormente smorzate. A fronte di tale situazione di partenza, il presidente della Federal Reserve statunitense Jerome Powell non potrà iniziare a tagliare i tassi d’interesse prima dell’estate senza mettere a repentaglio la sua stessa credibilità. La diversa situazione di partenza si è ripercossa altresì sui mercati dei tassi d’interesse. Basti pensare che i tassi d’interesse a lungo termine in Svizzera sono rimasti invariati pressoché allo stesso livello registrato alla fine del 2023, mentre i tassi d’interesse a lungo termine negli Stati Uniti sono aumentati da allora di circa 0,6 punti percentuali.

La Banca centrale europea rimane, invece, sulla giusta rotta. La scarsa forza propulsiva del motore congiunturale in Europa ha finora contribuito a mantenere in essere la tendenza verso la disinflazione. Su tale scia si intensificano altresì i segnali che la Banca centrale europea dovrebbe iniziare a ridurre i tassi d’interesse nel mese di giugno, muovendosi così per una volta prima della Federal Reserve.

Tuttavia, la bestia dell’inflazione non è stata ancora domata nemmeno nell’Eurozona, come dimostra tra l’altro la dinamica dei prezzi dei servizi. Pertanto, non si può nemmeno sostenere che l’Eurozona abbia raggiunto la linea del traguardo.

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Fredy Hasenmaile è economista capo e responsabile dell'Economic Research di Raiffeisen Svizzera dal 2023. Insieme al suo team, Fredy Hasenmaile analizza gli sviluppi globali e nazionali dei mercati finanziari ed economici. Rientra nei suoi compiti quello di interpretare gli eventi in ambito economico e di formulare previsioni sui principali indici economici.