Storie di diplomatici e fatalisti

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Edizione 13.02.2019 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Lunedì scorso la Svizzera e il Regno Unito hanno sottoscritto un accordo finalizzato a regolamentare i rapporti tra i due paesi dopo la Brexit. In tale occasione, il Consigliere federale Guy Parmelin e il Ministro per il commercio internazionale britannico Liam Fox hanno ribadito l'intenzione di mantenere uno stretto rapporto di partnership anche dopo l'uscita dall'UE. Il Regno Unito è comunque il sesto mercato di sbocco per le esportazioni elvetiche, nonché l'ottavo mercato di provenienza per le importazioni in Svizzera. Un motivo decisamente sufficiente per tutelarsi in maniera adeguata in vista di una possibile «hard Brexit». Ebbene, questo passo sembra essere ora pienamente perfezionato, grazie al lavoro dei diplomatici.

Nel caso di una «soft Brexit», a cui peraltro nessuno crede più realmente, l'accordo bilaterale svizzero-britannico entrerebbe in vigore solo dopo fine della fase di transizione, presumibilmente a fine 2020. Fino ad allora sarebbero quindi ancora valide le disposizioni della convenzione sulla libera circolazione. Invece, nel caso di una Brexit senza alcun accordo di uscita – scenario peraltro sempre più probabile – a partire dal 30 marzo 2019 la convenzione appena sottoscritta troverebbe applicazione in via provvisoria. Tale documento si prefigge di mantenere per quanto possibile i diritti e gli obblighi reciproci vigenti ed eventualmente anche di estenderli in alcuni settori, come sottolinea in una nota il Dipartimento federale degli affari esteri.

 

Il problema del backstop, ma non solo

Staremo a vedere se in questo modo la Svizzera sarà realmente pronta ad affrontare un'eventuale «hard Brexit». Va comunque detto che si è impegnata seriamente per non farsi trovare impreparata a questa eventualità. Altri paesi non ritengono palesemente necessario un simile passo. Il 29 marzo è ormai sempre più vicino, eppure non si percepisce ancora una vera e propria frenesia da ultimo minuto. Forse un po' nel Regno Unito, ma a Bruxelles non v'è traccia di nervosismo. Anche i mercati finanziari sembrano ignorare il suono dell'ultima campana. Il teatrino attorno alla Brexit va ormai assumendo contorni quasi surreali. Theresa May ritiene – o meglio, spera – di poter ancora strappare all'UE un consenso giuridicamente vincolante in merito al «backstop», sebbene Bruxelles abbia già da tempo respinto al mittente in maniera categorica questa opzione. Il backstop è una sorta di meccanismo di sicurezza che dovrebbe intervenire nel caso in cui nei prossimi anni Bruxelles e Londra non raggiungano un nuovo accordo commerciale. Concretamente, il backstop persegue lo scopo di evitare un confine «duro» tra l'Irlanda (membro UE) e l'Irlanda del Nord (parte del Regno Unito); un simile scenario è infatti temuto da molti irlandesi, in quanto ritengono che ciò potrebbe mettere in serio pericolo la fragile pace sull'isola di smeraldo. Il punto saliente del backstop rappresenta tuttavia una vera e propria spina nel fianco per i britannici, in quanto il confine effettivo verrebbe spostato tra l'isola principale britannica e l'Irlanda del Nord. Di conseguenza, le merci di Inghilterra, Galles o Scozia dovrebbero essere controllate a livello doganale prima del trasporto in Irlanda del Nord. Non si può dire che anche questa sia una buona soluzione. A ciò si aggiunge il fatto che la Gran Bretagna rimarrebbe contro la propria volontà per un periodo di tempo esteso all'interno di un'unione doganale con l'UE i cui paletti economici sono stati però fissati da Bruxelles senza alcun concorso della controparte londinese. Dal punto di vista britannico, si tratta di una soluzione tutt'altro che praticabile.

 

Un posto speciale all'inferno

L'UE ostenta un atteggiamento di calma e pieno controllo. Dopo aver inizialmente negoziato con pugno di ferro, da un lato per rendere indigesta la Brexit al Regno Unito e dall'altro per segnalare a tutti gli altri che «non si esce così a cuor leggero dall'UE», senza esercitare alcuna ulteriore sollecitazione Bruxelles ha potuto assistere al modo in cui il Regno Unito si è invischiato da solo in un terribile ginepraio. Ma adesso che il conto alla rovescia scorre inesorabile, i nervi cominciano a essere palesemente scoperti. O almeno è quanto è plausibile ipotizzare se si considera la portata delle conseguenze del 29 marzo, sebbene nei media per ora non ve ne sia traccia. E anche se si considera con attenzione il recente deragliamento verbale del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, il quale ha augurato un «posto speciale all'inferno riservato a coloro che hanno promosso la Brexit senza neanche aver abbozzato un piano su come attuarla in modo sicuro», è necessario giungere alla conclusione che attualmente il rapporto tra Regno Unito e Unione Europea poggia su fondamenta quantomeno traballanti. I britannici sono stati colpiti decisamente nel vivo da questa osservazione di un alto esponente di Bruxelles. L'UE continua a insistere su una mossa decisiva sulla sponda britannica, ma dall'altra parte della Manica è in atto un blocco a livello di politica interna, superabile soltanto se Theresa May riuscirà a ottenere qualcosa di più da Bruxelles – una «Mission Impossible».

 

Il tempo è galantuomo

Le parti si sono date tempo sino a fine febbraio per venire a capo di questa missione impossibile. Alla luce dei tempi fisiologici dell'UE in generale e dell'andamento finora registrato dalle trattative in particolare, è presumibile che entro il 29 marzo non sarà possibile addivenire a una soluzione negoziale accettabile da entrambi gli schieramenti. Anche gli slogan di resistenza a oltranza della May sono di scarsa utilità. Dal canto suo, l'UE non ha assolutamente alcun interesse ad andare incontro ai britannici. A Bruxelles si vuole infatti creare un precedente esemplare che funga da deterrente per eventuali «exit» future, e il cui tenore è: «Come vedete, senza noi non funziona niente». Ma allora cosa accadrà il 29 marzo? Personalmente, ne sono sempre più convinto: proprio niente. Il 29 marzo segnerà probabilmente l'inizio di una nuova manche del gioco a tempo intitolato «La speranza è l'ultima a morire». Ritengo che le parti si daranno tempo fino a metà maggio, in modo da non dover presentare già a fine marzo una soluzione anche per le elezioni europee in programma dal 23 al 26 maggio. «Muddling through» è il nome che viene dato a tale tattica politica non convenzionale ma piuttosto ricorrente, che l'UE ha sviluppato fino a livelli di autentica perfezione a partire dalla crisi dell'euro. Ma questa volta il capolinea è in vista. Non a fine marzo, ma sicuramente ancora nel corso della primavera – affinché l'estate sia davvero bollente. Siano ringraziati i fatalisti.

Martin Neff, Economista capo di Raiffeisen
 

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