Potenza e impotenza delle immagini

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Edizione 14.09.2022 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Nel mese di settembre di 13 anni fa, un nutrito gruppo di alti papaveri della finanza, ben pasciuti e abituati al successo, aveva dovuto raccogliere alla bell'e meglio le proprie cose in uno scatolone e, assieme ai propri «lacchè» e piccoli epigoni, aveva abbandonato in tutta fretta gli uffici di Lehman Brothers. La banca era fallita. Le immagini trasmesse in televisione erano divertenti e tristi al tempo stesso.

In seguito, migliaia di americani si erano ritrovati a trascorrere le notti all'addiaccio in una tenda o in ripari di fortuna perché non solo gli spericolati acrobati finanziari di Lehman Brothers ma il mondo intero, mai sazi di profitti nella propria avidità, avevano puntato l'intera posta su crediti di infima qualità. Per un po' il giochino aveva funzionato, poi però si era rotto e la bolla era scoppiata, lasciando senza casa moltissime persone. Le immagini dei senzatetto erano invece soltanto tristi. Aylan Kurdi era un piccolo rifugiato di tre anni di etnia curda, il cui cadavere era stato adagiato misericordiosamente dalle onde sulla spiaggia di Bodrum, nel Mediterraneo. Le immagini del corpicino disteso sulla sabbia erano più che tristi, erano agghiaccianti. E la scorsa estate l'intera Europa è stata funestata da grandi incendi. Anche in questo caso, le immagini dei roghi incutevano addirittura paura. Sì, la forza delle immagini è potente.

Nell'era analogica il potere delle immagini era limitato in termini qualitativi, ma «meno era più», mi sentirei di affermare. Sono cresciuto con un televisore in bianco e nero, con immagini spesso di qualità pessima per gli standard odierni. Eppure, alcuni di questi fotogrammi si sono impressi tanto a fuoco nella mia mente che sono in grado di ricordarli ancora oggi con esattezza, che lo voglia o meno. Tutto questo nasconde aspetti deliziosi e, per dirla tutta, anche terribili. Tutti mi riportano però a un'epoca ormai lontana nel passato, per quanto tutt'altro che dimenticata. In questa sede non voglio certo condividere in dettaglio con voi i ricordi della mia infanzia o gioventù, né tantomeno cullarmici. La mia intenzione è un'altra. Ecco la mia tesi: la massa (di immagini) istupidisce le masse (di persone) e impedisce di avere una visione dell'essenziale.

Nell'era digitale in televisione pullulano immagini su immagini. Attualmente, ad esempio, siamo letteralmente subissati ogni giorno dalle immagini di attualità dell'invasione russa in Ucraina e, da una settimana, da ogni dettaglio post-mortem possibile e immaginabile in seguito alla scomparsa della regina britannica. In fondo è cosa buona e giusta, ma questi eventi hanno la stessa dimensione o la stessa portata? Decine di caduti al fronte ogni giorno contro una persona morta una settimana fa? E dove rimane il resto del mondo? In qualche parte del globo, carestie, siccità, inondazioni sono comunque all'ordine del giorno, ma da un punto di vista mediatico viene data loro una scarsa attenzione (in termini relativi). Credo che le capacità sensoriali umane siano sempre più prossime ad annegare nella marea di informazioni che le inonda; così, quando le informazioni ci giungono in modo filtrato, non di rado risulta sempre più difficile distinguere l'essenziale dal superfluo e sviluppare una sincera empatia. Nei canali televisivi tedeschi i dibattiti sono molto più accesi (o almeno questa è la percezione) sulla carenza di gas e sulle forniture di armi che sul conflitto bellico vero e proprio. Allo stesso modo, qui in Svizzera sembra che a preoccuparci sia soltanto la carenza di elettricità. Ma la situazione è ancora peggiore nel World Wide Web.

Su Internet gli slogan sono sempre più numerosi e altisonanti e nessuno si chiede quante informazioni una persona possa davvero elaborare o tollerare e per quanto tempo ci se ne ricordi ancora. Quasi ognuna e ognuno di noi carica immagini sulla rete mondiale: inviamo le foto e i video più disparati via SMS, WhatsApp, ecc., o postiamo su Facebook, Instagram, Snapchat e compagnia bella quantità immense di foto insulse, oppure ne vediamo altre e le inoltriamo alla nostra cerchia di amici e conoscenti. Si genera così un volume incredibilmente elevato di impressioni visive che sostanzialmente non siamo in grado di elaborare. E così, ciò che in realtà dovrebbe catturare l'attenzione diventa noioso e ciò che dovrebbe indurci a riflettere diventa ordinaria amministrazione. Ogni giorno vengono caricati in rete cinque miliardi di immagini; spesso e volentieri si tratta di spazzatura visiva, che tuttavia viene vista, anche se solo per pochi istanti. Ma cosa rimane esattamente nella memoria e nel subconscio? Fate un esperimento e chiedete a vostro figlio di quali immagini o filmati si ricorda concretamente, e poi invitatelo a esprimere che cosa hanno suscitato in lui. Spesso i giovani, ma non solo loro, non sono in grado di esprimerlo a parole. Sanno solo dire che, a causa dell'impotenza delle immagini, guardando-le è passato del tempo. Ho mostrato ai miei figli alcune immagini che li hanno fatti riflettere. Immagini potenti del mio archivio personale; di pessima qualità e con una risoluzione ancora peggiore, ma con un impatto espressivo enormemente elevato e un messaggio di anni luce più impattante rispetto agli stupidi selfie che oggi si fanno in tutte le salse possibili. Un po' come le pitture rupestri o la volta della Cappella Sistina. Si tratta di immagini hanno un po' a che fare anche con la cultura, la storia e la cultura generale e hanno un certo potenziale non tanto di animazione quanto deterrente. Proprio l'esatto contrario di ciò che imperversa oggi in rete – soprattutto sugli «unsocial» media. 

Il seguente link illustra in modo esemplare quello che intendo: non sono certo immagini per gli animi più sensibili e schizzinosi, ma sono senz'altro «influential», cari cosiddetti influencer: link.