Crisi? Quale crisi?

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Edizione 15.09.2021 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Quando ero adolescente, la band dei Supertramp era tra le mie preferite. Testi semplici, musica cool e innumerevoli motivetti orecchiabili. L'album «Crisis? What Crisis?» è stato prodotto nel 1975 e ancora oggi è messo in ombra dall'album prodotto un anno prima, «Crime of the Century», che rientra nella rosa dei migliori in assoluto mai realizzati nella storia della musica pop e rock. I titoli di entrambi i dischi rievocano qualcosa di apocalittico e sono più attuali di quanto si potrebbe desiderare malgrado siano stati prodotti già quasi cinquant'anni fa.

Personalmente ritengo che tra i «Crime of the Century», ovvero i crimini del secolo, rientra il nostro modo di vivere tuttora sconsiderato, irrispettoso e ipocrita nelle nazioni industrializzate mature, sebbene siamo perfettamente consapevoli dei danni irreversibili che ciò potrebbe cagionare al nostro pianeta. I Supertramp esprimevano questo concetto nella loro canzone con il testo seguente: «(…) stanno progettando il crimine del secolo (…). Leggi tutto sui loro schemi e avventure. (…) e vedi come violentano l'universo. Come sono andati di male in peggio. Chi sono questi uomini di lussuria e avidità, in cerca di gloria? Strappa le maschere e vediamo. Ma non è giusto – Oh no, com'è possibile? Ci sei tu e ci sono io (…).» Le parole sono molto forti perché, a mio parere, è come quando – analogamente ad oggi – ognuno punta il dito contro qualcun altro e quindi qualcuno lo punta anche contro di noi. Ma ci dimentichiamo la crisi probabilmente più grave in assoluto dello sfruttamento eccessivo del nostro pianeta, che la maggior parte di noi preferisce però semplicemente rimuovere dalla propria coscienza. In ogni caso, la crisi ambientale è ben lungi dall'essere l'unica a poter descrivere al meglio il titolo dell'album «Crisis, what Crisis?», bensì esiste anche tutta una serie di crisi politiche, sociali ed economiche che si prestano perfettamente. Ma di quale crisi stiamo parlando in fin dei conti?

Lo sappiamo sempre e soltanto a posteriori, con il senno di poi. Si tratta in particolare della crisi del Giappone, la crisi o le crisi immobiliari, le crisi del debito in Argentina o in Asia oppure la crisi russa, per non citare la crisi delle cosiddette aziende dot-com e la crisi della Lehman Brothers o ancora la crisi dell'euro. Negli ultimi tre decenni siamo passati attraverso un numero così elevato di crisi prevalentemente economiche, al punto tale da essere diventati presumibilmente resistenti alle crisi, ma anche incredibilmente stanchi delle crisi. Siamo arcistufi in ogni caso delle crisi politiche, e persino della guerra, della Corea, della Siria dell'Afghanistan e così via, come pure della disgregazione di interi stati. La saturazione si spinge a un punto tale che quando ci intratteniamo con qualcuno in merito a una crisi, l'interlocutore risponde già quasi in automatico come se fosse un riflesso: «Ma è persino molto peggio». Ognuno di noi ha una sua propria lista nera delle crisi, quasi fosse una classifica delle hitparade. Però sono persino peggio le reazioni sui generis «ma non è mica vero» e addirittura la rispettiva escalation del tipo «tutto questo non era affatto vero». Sono nato in Germania e pertanto ne ho incontrati diversi che sostenevano affermazioni del genere.

A prescindere da tutte le crisi, oggi viviamo in effetti in maniera piuttosto rilassata e distaccata. Non risolviamo le crisi, bensì le posticipiamo semplicemente, rimandandole all'infinito. Tuttavia, i detriti che si accumulano davanti a noi diventano sempre più imponenti e difficili da evitare sul nostro percorso, motivo per cui ci siamo dotati di escavatrici e ruspe sempre più grandi. La regola dei nostri tempi moderni per superare le crisi è: «whatever it takes», come ha affermato da parte sua il Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi il 26 luglio 2012. Oggi lo stesso professore in qualità di Primo Ministro italiano si occupa di comporre piani congiunturali miliardari per la ripresa dell'economia e non perde occasione di ricordare alla sua succeditrice la sua parola d'ordine storica. Nel frattempo noi «normali cittadini» siamo diventati i maestri dell'oblio o della rimozione. I mercati finanziari, nodo cruciale e detonatori di quasi tutte le crisi economiche della nostra storia più recente, non sono nemmeno più ammaestrabili. E quando la rimozione non ci riesce più, allora diventiamo dei maestri nell'esternalizzazione. Draghi e i suoi omologhi e amici sistemeranno tutto. Per ora li lasciamo ancora fare, considerato che fintanto che c'è ancora carne nel piatto, la crisi non può essere così grave. Tuttavia, da qualche tempo attraverso l'avidità sui mercati finanziari e una politica monetaria e fiscale completamente disinibita e sconsiderata è stato avviato un processo di ridistribuzione che potrebbe forse sfociare un giorno in una crisi di tutt'altre proporzioni. Questa crisi viene addirittura alimentata ulteriormente dalla crisi del coronavirus. In realtà la crisi è già in atto, solo che ancora non la percepiamo a tutti gli effetti. Ma i tassi zero, la tombola valutaria e le composizioni fantasiose nella politica fiscale comportano sempre più una sensazione di disagio. Si tratta probabilmente della crisi di mezza età del nostro sistema economico del dopo guerra. Sistema su cui si aggiungono lentamente sempre più grinze, rughe e pieghe contro le quali non servono a nulla né i trucchi e le magie in ambito fiscale né gli interventi estetici a livello di politica monetaria.