L'UFSP come capro espiatorio

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Edizione 05.08.2020 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Il mio figlio più piccolo è una schiappa in matematica. Immancabilmente, non riesce a portare a termine gli esercizi più semplici e quasi ogni tentativo di offrirgli sostegno è un buco nell'acqua. Se si adotta una approccio più ludico le cose vanno forse un po' meglio – anzi, fuori da un contesto scolastico è addirittura particolarmente ricettivo verso qualche calcolo a mente. Ma appena si sente sotto pressione, tutto si blocca.

Così commette gli errori più banali e anche la tabellina dell'uno è a volte un'impresa insormontabile. Per me non è facilissimo accettare questa situazione, in quanto proprio la matematica era una delle mie materie preferite, per quanto solo a partire dalle superiori. Forse con la crescita riuscirà a sbloccarsi. I suoi punti di forza, almeno oggi, sono senz'altro altrove. E per i suoi attuali sogni professionali, che in questa sede preferisco non rivelare in quanto si tratta appunto di sogni, la matematica non è del tutto prescindibile – sebbene non rientri nelle competenze chiave richieste, al pari della statistica. In realtà non esistono praticamente professioni in cui numeri e statistiche siano del tutto irrilevanti. È quindi essenziale acquisire una certa dimestichezza con la matematica, per quanto non tutti vi siano portati.

L'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), integrato nel Dipartimento federale dell'interno (DFI), è l'autorità competente in materia di sanità. Definisce la politica sanitaria della Svizzera e si adopera per garantire un sistema sanitario efficiente e finanziariamente sostenibile nel lungo periodo. Sono questi il mandato ufficiale e gli obiettivi dell'UFSP, come riportato sulla sua homepage. La matematica non rientra quindi fra le sue competenze chiave, e non necessariamente nemmeno la statistica. Per quest'ultima esiste notoriamente un apposito ufficio federale preposto, anch'esso facente capo al DFI. Eppure l'UFSP deve occuparsi quotidianamente di numeri e statistiche, e non certo in modo marginale. Raccoglie infatti dati e cifre salienti negli ambiti più disparati: professioni nel settore sanitario, demenza, dipendenze da alcol, tabacco o cannabinoidi, assicurazioni malattie, ospedali, medicina riproduttiva e dei trapianti, e molto altro ancora – tra l'altro, anche malattie infettive. Probabilmente sono in molti qui in Svizzera a non avere la minima idea del ventaglio così ampio di temi trattati dall'UFSP. Per il monitoraggio delle malattie infettive, l'obbligo di notifica costituisce un elemento centrale secondo il principio «Chi effettua una diagnosi dichiara». Anche nel caso del Covid-19 le cose non sono diverse; in questo caso ci si avventura tuttavia in territori inesplorati, in quanto l'attuale diffusione (leggasi: pandemia) va ben oltre ogni scenario finora sperimentato e la portata del Covid-19 è nettamente più incisiva rispetto alla maggior parte delle «normali» malattie infettive.

 

I test consentono di avere certezze...

Anche sei mesi dopo lo scoppio della pandemia di coronavirus, il monitoraggio statistico del Covid-19 non è purtroppo minimamente calibrato e appare sempre meno comprensibile il fatto che continuiamo a brancolare nel buio – peraltro a fronte di un consenso così ampio sull'assoluta necessità di arginare la diffusione del virus. La mancanza di trasparenza o la totale ignoranza finora dimostrate spalancano le porte a congetture di ogni tipo. «No mask», «banalizzatori» o drammaturghi, teorici della cospirazione: sulla base di dati così poco significativi, ogni fazione può estrapolare materiale per argomentazioni fantasiose o astruse. Esiste soltanto un ausilio sicuro, come indicato in questa rubrica già la scorsa settimana: abbiamo urgentemente bisogno di un campione statisticamente rappresentativo per il Covid-19, e la parola d'ordine deve quindi essere: testare, testare, testare. Eppure in una piccola economia altamente sviluppata come la nostra, questo approccio non costituisce un ostacolo insuperabile. Abbiamo tutti i mezzi necessari, e i volumi da gestire sono limitati. Già a metà aprile un ampio fronte composto da esponenti di scienza ed economia si era espresso a favore di un'intensificazione dei test. Dal 25 giugno la Confederazione si fa inoltre carico di tutti i costi per i test sul coronavirus. In particolare, paga per ogni test un importo forfetario di 169 franchi, e ciò si è tradotto temporaneamente in un (benvenuto) aumento del numero di test a oltre 10'000 al giorno. Nel frattempo siamo tuttavia tornati nettamente al di sotto degli 8'000 test al giorno, con punte negative inferiori ai 6'000. Il 3 agosto 2020 il totale dei test effettuati era pari a 803'725. Si noti che vengono computati i test svolti e non le persone testate. E una persona può essere stata sottoposta anche a più test.

 

... ma non per tutto

I test per il coronavirus dovrebbero servire in primis a fare chiarezza sulla diffusione quantitativa del virus. Chi pensa che i test servano anche per individuare il luogo esatto e/o le modalità di contagio si sbaglia, e di grosso. Per dirla tutta, non è stata un’abile mossa quella della scorsa settimana del BAG di comunicare le cifre «incriminate» – peraltro su richiesta della televisione pubblica svizzera (SRF). Viene quindi da chiedersi perché la nostra televisione di stato abbia richiesto informazioni proprio su questo «teatro di guerra secondario», e soprattutto perché la SRF non abbia commentato il campione ridicolmente esiguo (629 persone) e il corrispondente passo nel formulario di dichiarazione COVID-19 alla voce «via di trasmissione più probabile», relativizzando così le dichiarazioni fatte. Qualcuno era forse alla ricerca di un capro espiatorio? In fin dei conti, quando club e discoteche sono apparsi ai vertici della graduatoria dei luoghi di trasmissione, molte persone in Svizzera hanno visto confermata la propria lapalissiana intuizione personale. Nessuno si è preoccupato del fatto che il campione e la metodologia non fossero idonei per giungere a simili conclusioni. Semplicemente, i risultati sono stati riproposti tels quels senza alcuna esitazione.

 

Sbagliando s'impara

Il polverone che in seguito ha imperversato in lungo e in largo in tutta la Svizzera è stato quantomeno sproporzionato. Ovviamente un ufficio federale è un'istituzione che poggia la propria essenza ed esistenza sulla fiducia e che quindi dovrebbe prestare i propri servizi in modo coscienzioso e impeccabile. Ma alla luce di quanto poco sappiamo ancora oggi del virus, il luogo di contagio non è certamente l'informazione più importante. Così come la valutazione di questo parametro non rientra necessariamente fra le competenze di base dell'UFSP. Anche le cifre più recenti hanno un'utilità altrettanto scarsa, a causa dell'elemento «famiglia». È vero che in seno alle famiglie il virus trova una diffusione particolarmente rapida, ma per certo uno dei familiari ne è stato contagiato al di fuori delle mura domestiche. Per contro, diverse domande ben più importanti sono ancora oggi senza risposta. I bambini sono serbatoi d'infezione? In cosa consiste l'immunità di gregge? Quanto sono resistenti nel tempo gli anticorpi? A quanto ammonta la sieroprevalenza? A quanto ammonta la cifra occulta, ovvero la percentuale dei cosiddetti portatori asintomatici del virus? A queste domande possono dare una risposta soltanto i test, che saranno tanto più rilevanti quanto condotti in numero più elevato. In un processo di apprendimento devono essere ammessi anche gli errori – perlomeno quelli di piccola entità, e anche nella fattispecie non si tratta di altro. La statistica «sbagliata» non era nient'altro che una goccia nel mare. Chi pensa con un minimo di logica e usa il buonsenso giungerà inevitabilmente alla conclusione che club e discoteche costituiscono con ogni probabilità un rischio di contagio superiore alla media. Praticare il distanziamento sociale mentre ci si scatena sulla pista da ballo o si flirta al bar della discoteca è una pia illusione, ancor più se entra in gioco il consumo di alcol o addirittura di droghe. Per questo non è necessaria alcuna prova statistica. Il Cantone Ginevra lo ha capito. La reazione veemente alle cifre «sbagliate» risiede molto probabilmente in un altro motivo. La politica e il grande pubblico sono palesemente stanchi del coronavirus, si sentono limitati e con le ali tarpate e sono anche loro alla ricerca di un capro espiatorio – che ora hanno trovato nell'UFSP. Anche i Cantoni scaricano senza pensarci troppo la propria responsabilità sulla Confederazione, in quanto sono riluttanti ad assumersi la paternità di limitazioni spiacevoli e impopolari. Di norma il capro espiatorio è sempre uno solo, ma praticamente tutti noi faremmo bene a guardarci allo specchio.