Basta che sia di più?

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Edizione 08.12.2021 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Buone nuove dalla Svizzera. Per quanto riguarda il prodotto interno lordo, alcuni giorni fa dovremmo aver raggiunto di nuovo il livello precedente alla crisi. Questo significa che ora siamo tornati benestanti in misura equivalente a prima del crollo causato dalla pandemia, misurato sul prodotto interno lordo (PIL), ovvero il parametro usualmente utilizzato per misurare una prestazione economica nazionale. Ma in tutta sincerità, non è un po' come per la meteorologia? Infatti, spesso si parla notoriamente di temperatura percepita, la quale a volte può divergere in maniera considerevole dalla temperatura effettivamente misurata.

Per quanto riguarda la mia persona, sono stato uno dei fortunati a essere risparmiato dal crollo economico. Il mio datore di lavoro ha continuato a pagare il mio stipendio, le mie mansioni lavorative sono rimaste identiche a quelle precedenti in ogni fase della pandemia, non sono dovuto andare in lavoro ridotto, non sono stato obbligato a chiudere i battenti del mio ristorante o del mio albergo né tantomeno ho dovuto chiedere crediti di emergenza per garantire la sopravvivenza della mia azienda. Pura fortuna, si potrebbe dire, e malgrado la mia condizione di benessere in termini misurabili sia altrettanto buona di quella precedente allo scoppio del coronavirus, la sensazione oggi è completamente diversa. Incontro i miei amici con una frequenza decisamente inferiore rispetto a prima, lo stesso dicasi per i miei parenti, per oltre mezz'anno non ho più potuto allenarmi al centro fitness e neppure andare al solito bar quando ne avevo voglia. Per non dire che tuttora la vita non è più così spensierata come lo era prima del coronavirus. Questa pandemia ha lasciato tracce in un modo o nell'altro. A livello di percezione mi sembra di essere diventato un po' più povero. Certo, ovviamente si tratta di briciole, pur sempre ad alto livello, e prima o dopo – cosa che probabilmente tutti noi auspichiamo ardentemente – si spera che questo incubo finirà. E poi cosa succederà?

Poi «ci si rimboccherà di nuovo le maniche e ci rimetteremo al lavoro per incrementare il prodotto nazionale lordo». Alcuni di voi forse conoscono il testo di una canzone della band tedesca «Geier Sturzflug» che ha avuto un discreto successo nel 1983 nelle classifiche pop. Basta che vi sia una crescita, a prescindere dal prezzo da pagare, questo è il motto sostenuto da questa canzone, ma è ovviamente inteso in modo piuttosto cinico. Infatti, purtroppo, nel prodotto nazionale lordo registriamo «solo» ciò che possiamo misurare. Un grave tamponamento a catena in autostrada che causa ingenti danni aumenta la prestazione economica in maniera analoga a una forte grandinata oppure a una frattura della gamba. Insomma, tutti avvenimenti che effettivamente nessuno vorrebbe che si verificassero, ma il cui superamento crea tuttavia una crescita quantitativa. Proprio come i danni ambientali a cui poi bisogna rimediare. La cattiva qualità dell'aria oppure le emissioni foniche della circolazione stradale, invece, non possono essere misurate fintanto che non provocano danni. Solo dopo che qualcuno si è ammalato a causa loro i danni diventano misurabili e dunque altresì contabilizzabili, incrementando così il prodotto nazionale lordo. Da molto tempo si discute naturalmente sul fatto che la contabilità nazionale ha le proprie lacune. Ad esempio il lavoro di pubblica utilità non viene contabilizzato da nessuna parte, sebbene produca sicuramente un vantaggio per la società. Ai fini della contabilità nazionale vige il principio della misurabilità a prezzi di mercato e considerato che il lavoro di pubblica utilità oppure anche il volontariato non hanno alcun prezzo di mercato, non possono essere registrati nei libri contabili. 

 

Conta solo ciò che è misurabile

Questa situazione è sicuramente per tutti noi poco soddisfacente, d'altra parte bisogna però anche ammettere che anche la temperatura percepita, di cui abbiamo parlato all'inizio, non è misurabile e viene infatti percepita diversamente da persona a persona. Funziona esattamente allo stesso modo con le cose che arrecano gioia o rendono felici e dunque tecnicamente anche con quelle che procurano vantaggi o utilità, solo che in una giornata sugli sci qualcuno si diverte di più e altri di meno. E di conseguenza si misura così ciò che può essere misurato, ad esempio i costi sostenuti per il viaggio fino al comprensorio sciistico, i biglietti della ferrovia di montagna, le consumazioni al ristorante di montagna oppure il picnic in qualche spiazzo a bordo pista. Anche l'assegnazione a settori specifici non è sempre così univoca. La Svizzera, come classica meta turistica, non è ad esempio in grado di misurare quale creazione di valore generi effettivamente il turismo. Se un ospite estero compra un orologio, tale acquisto viene conteggiato nel commercio al dettaglio, e se mangia al ristorante, il suo conto viene contabilizzato proprio come le nostre consumazioni al ristorante. Perlomeno, da qualche tempo l'Ufficio federale di statistica tiene cosiddetti conti satelliti che evidenziano in termini quantitativi i settori turismo, ambiente, agricoltura e lavoro non retribuito. Se in questi calcoli il turismo si colloca al 2.8 % del PIL, la creazione di valore del lavoro non retribuito si è attestata (nel 2016) a 400 miliardi di franchi svizzeri, ovvero pari a pressoché due terzi della creazione di valore dell'economia complessiva. Bastano queste cifre da sole per rendere evidente che l'economia nazionale crea più valori di quelli che possiamo effettivamente misurare. D'altronde dobbiamo però anche constatare che causa altresì diversi effetti esterni negativi, i quali a livello puramente contabile non riducono il PIL sebbene danneggino il nostro benessere. Nel conto satellite ambiente si cerca ad esempio di misurare il consumo annuale di materiale oppure l'impronta ecologica delle emissioni di gas a effetto serra della Svizzera. Questi sono sforzi assolutamente benvenuti e auspicabili e sarebbe sicuramente opportuno tenerli sempre presenti nella definizione della crescita economica.

Tuttavia, sembra che il mero concetto di crescita quantitativa diventi sempre più logoro in particolare proprio nelle economie nazionali altamente sviluppate. Chi domani è più felice di ieri non contribuisce alla crescita economica, mentre chi domani guadagna più di ieri invece sì. Tuttavia, lo studio sulla felicità misura (attraverso i sondaggi) pur sempre cose che sono molto difficili da calcolare e che non si possono quantificare, creando così un certo contrappeso alla contabilità quantitativa, anche se il successo politico e il benessere vengono saldamente ormeggiati quasi esclusivamente al concetto di tradizionale crescita economica. A tal proposito conta soltanto la quota in più. Nel frattempo, però, dovrebbe essere ormai chiaro a tutti noi che questo più non significa necessariamente meglio. Se acquistiamo un'automobile più grande, consumiamo più benzina rispetto alla nostra vecchia utilitaria. Ed ecco che l'economia sta già crescendo. Se definissimo la crescita economica in generale come maggior consumo, proprio nel modo in cui propone il sociologo Harald Welzer, allora la crescita lascerebbe un certo retrogusto in bocca, una certa amarezza, oppure no? Immaginatevi che i nostri governi ci promettano di provvedere al maggior consumo in cambio del nostro voto per loro. Voi glielo dareste veramente il vostro voto? In realtà non abbiamo alcuna scelta tra crescita o maggior consumo. Chi vuole crescere deve anche necessariamente consumare di più. Ma abbiamo effettivamente bisogno di questo maggior consumo, che non possiamo nemmeno più permetterci?