Un felice anno nuovo?

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Edizione 09.01.2019 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Questo il mio auspicio per l'economia svizzera. Tuttavia, le prospettive non sono più così rosee come lo scorso anno straordinariamente forte. Il 2019 non sarà facile per la nostra economia politica. Ne ho spiegato i motivi ieri alla Conferenza sulle previsioni di Raiffeisen. Al momento la congiuntura svizzera si mostra tuttora molto solida, ma il problema è che l'economia mondiale ha di recente perso slancio, come emerge dagli importanti indici dei responsabili degli acquisti, tanto osservati dagli economisti, ossia dai sondaggi delle imprese.

Quasi ovunque a livello internazionale il sentiment delle imprese si è ultimamente offuscato. Di norma, questo è un segnale affidabile di un rallentamento della congiuntura globale nel prossimo futuro. 

Risulta particolarmente lampante il peggioramento in Italia, dove le imprese industriali registrano già dallo scorso autunno una flessione dell'attività commerciale. Quest'anno l'economia italiana metterà veramente a segno una crescita pari a quella del 2018, come atteso dalla maggior parte degli indicatori?

Personalmente, lo ritengo poco probabile. In Francia, le dimostrazioni di massa delle ultime settimane pesano sul sentiment, ma anche dalla Germania, che rappresenta il motore di crescita altrimenti così affidabile dell'Europa, giungono dati congiunturali nel frattempo peggiori. Nell'Eurozona qualcosa si muove, molto chiaramente. Perché il clima è cambiato negli ultimi mesi? Il tenace e latente conflitto commerciale, la sempre più probabile «hard» Brexit e le querelle di politica interna in Italia e di recente anche negli USA (per inciso lo «shutdown») si ripercuotono sul sentiment degli investitori, come pure l'inasprimento dei tassi negli USA.

 

Non così male, ma non bene

Che cosa significa ciò per la Svizzera? A fronte del peggioramento del clima delle esportazioni, per il 2019 prevediamo una crescita dell'economia dell'1.2 %, ossia dimezzata rispetto all'anno scorso. Tuttavia, è necessario comprendere correttamente questa cifra, poiché l'1.2 % appare scarso soltanto di primo acchito. Nel 2018 il PIL svizzero ha registrato un incremento presumibilmente del 2.5 %, ma questo progresso è stato straordinariamente forte e non deve essere considerato come la norma. Non può essere di per sé fonte di preoccupazione il fatto che un'economia politica satura, la cui crescita della popolazione si indebolisce, cresca di pressoché l'1 % l'anno. Inoltre, effetti straordinari, ora venuti a mancare, hanno favorito la crescita nel 2018. Il valore dell'1.2 % è dunque poco spettacolare. Corrispettivamente le nostre previsioni di crescita non hanno sollevato un gran polverone alla conferenza stampa e da parte dei rappresentanti dei media in loco, anche se le nostre stime si situano nella fascia inferiore.

Ciononostante, il nuovo anno non sarà facile. Le previsioni di crescita di per sé non erano necessariamente al centro dell'attenzione dei rappresentanti dei media, ma piuttosto le nostre prospettive per i mercati finanziari e per il corso dell'euro. Lo scorso dicembre è stato il peggiore da decenni in termini di chiusura annuale e l'anno 2018 nel suo complesso è stato negativo come non più dalla crisi finanziaria. Ma ciò è ben lungi dal significare che i mercati anticipano una recessione, poiché la storia insegna che le borse spesso sbagliano e tendono alle esagerazioni. Considerati tutti i fattori di incertezza che al momento si delineano non è molto probabile che la volatilità sui mercati finanziari scompaia rapidamente. E quanto più perdurerà l'indebolimento dei mercati finanziari, tanto maggiormente ciò si ripercuoterà negativamente anche sull'economia reale e tanto più a lungo il franco svizzero subirà pressioni al rialzo. Pertanto, ritengo più plausibile un corso dell'euro di 1.05 o 1.10 piuttosto che di 1.15 o 1.20, come prevedono molte altre banche. 
 

Il rischio di accumulo

L'economia svizzera presenta anche altri punti deboli, tra cui ad esempio l'immensa dipendenza da un unico settore. L'eccedenza della bilancia commerciale del settore farmaceutico ammonta a un volume incredibilmente elevato pari a circa 50 miliardi di franchi. Senza questa eccedenza, la Svizzera tanto nota per le sue esportazioni dovrebbe far fronte a un meno miliardario a due cifre nella bilancia commerciale. Ovviamente, le società farmaceutiche non ne sono responsabili, ma la loro elevata eccedenza di esportazione è una concausa del franco forte. A loro volta i settori industriali tradizionali come l'industria meccanica o la lavorazione dei metalli segnano invece il passo. Certo, la ripresa congiunturale degli ultimi due anni ha aiutato un po'. A prescindere dal settore farmaceutico, le esportazioni della maggior parte dei comparti si situano tuttavia ancora al di sotto del livello precedente allo shock del franco e alla crisi finanziaria. La situazione non cambierà nemmeno nel 2019: il farmaceutico resterà superiore a tutti e la maggior parte degli altri settori crescerà, eventualmente, solo di poco.
 

Prigionieri di un dilemma autoimposto

Resta invariato altresì il dilemma della Banca nazionale svizzera. Infatti, la BNS ha annunciato oggi una perdita annua di 15 miliardi di franchi. E questo è soltanto uno degli effetti collaterali della politica monetaria degli ultimi anni. Le distorsioni che sorgono attraverso i tassi negativi sono dolorose, mentre la loro utilità è controversa. Tuttavia, al momento non si intravede alcuna inversione di tendenza. Non perché credo che in caso di un aumento dei tassi il franco si apprezzerebbe necessariamente in misura considerevole. No, questo non è affatto scolpito nella pietra, come dimostra la storia. Tuttavia, la finestra temporale per un intervento sui tassi si sta spaventosamente chiudendo, quantomeno è così che la Banca nazionale percepirà la situazione, dato che la congiuntura in Europa si sta raffreddando e che di conseguenza la Banca centrale europea (BCE) sarà improntata alla prudenza in misura ancora maggiore rispetto ad ora. Soprattutto considerato che un consolidamento delle finanze statali nell'Eurozona appare sempre più lontano. Inoltre, ritengo sia poco probabile che la Banca nazionale svizzera osi aumentare i tassi prima della BCE. L'immobilismo dei tassi può anche essere positivo per i mercati azionari e gli investitori immobiliari, ma è solo una magra consolazione per i risparmiatori e i contribuenti delle rendite dopo oltre quattro anni di modalità di crisi con tassi negativi. E quanto più perdurerà questo contesto di tassi negativi, tanto maggiore saranno le distorsioni. Un felice anno nuovo dunque? Ce lo auguriamo volentieri, senza pensarci troppo. Ma per il 2019 è un grande auspicio.

Martin Neff, Economista capo di Raiffeisen
 

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