Tutto nuovo a maggio

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Edizione 27.05.2020 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Si dice che maggio è il mese in cui la primavera esplode letteralmente con la sua massima rigogliosità, anche se il calendario segnala aridamente che il suo inizio è già a marzo. Maggio viene quindi indicato anche come il mese delle rose e delle delizie e, poiché la primavera è generalmente collegata all'idea di un nuovo inizio, il proverbio tedesco «Alles neu macht der Mai» (Maggio rende tutto nuovo) calza a pennello anche come titolo delle mie riflessioni odierne. Ebbene, un quadro del genere non potrebbe attagliarsi meglio al mese di maggio 2020: tutto è diverso da ciò a cui eravamo abituati, voliamo molto più bassi del solito e al contempo ci sentiamo piccoli davanti al mondo.

Quasi tutto è davvero nuovo nel maggio – con tanti saluti del coronavirus. Ad esempio, basta rivolgere lo sguardo verso nord per rimanere a bocca aperta. I tedeschi, costantemente percepiti come avari dall'Europa meridionale e comunque come eccessivamente oculati dal resto del Vecchio continente, hanno stretto un forte sodalizio con i francesi nell'ambito della crisi del coronavirus e improvvisamente non appaiono più di vedute così strette circa la cosiddetta Unione del debito. E tutto questo avviene proprio poco dopo che la Corte costituzionale federale tedesca ha emesso la sentenza secondo cui gli acquisti di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (BCE) sarebbero in parte anticostituzionali. Una sentenza di questo tenore era peraltro attesa da anni e anni da moltissimi tedeschi, i quali ormai da tempo vedevano come il fumo negli occhi i cordoni sguaiatamente aperti della borsa della BCE e il conseguente andazzo inarrestabile della spirale del debito. Ma il compiacimento a riguardo sembra essere tardivo. Del resto, come sperimentato sulla propria pelle ai tempi della crisi dell'euro, gli Stati membri dell'UE sanno fin troppo bene che la cancelliera tedesca non si lascia distogliere così facilmente dalla rotta intrapresa. Le misure di salvataggio in tale occasione erano state partorite dopo un agguerrito braccio di ferro ed erano saltate più volte proprio a causa dell'arcigna indisponibilità tedesca a distribuire denaro a pioggia senza opportune condizioni e contropartite. Negli ultimi anni Angela Merkel è apparsa poco fondamentalista soltanto una volta, ovvero quando durante la crisi dei rifugiati ha sorpreso il mondo con il motto «Ce la facciamo». A dire il vero, è irrilevante che il mondo sia stato sorpreso o piuttosto sopraffatto. Per la Merkel gli shock esogeni appaiono peraltro occasioni particolarmente idonee per scrollarsi di dosso la polvere dell'incartapecorimento e rimettersi in gioco. Mentre all'inizio dell'anno i tedeschi si chiedevano dove la cancelliera si fosse andata a nascondere, adesso è tornata tanto alla ribalta da indurre più di una persona a interrogarsi addirittura se la Merkel non vorrà ricandidarsi per un ulteriore periodo legislativo. Improbabile ma non del tutto impossibile, viene da rispondere alla luce della situazione odierna.

 

I Parsimoniosi quattro

Gli olandesi si sono tuttavia messi a fare i tedeschi di turno, e assieme a svedesi, danesi e austriaci hanno fatto scendere in campo il dream team dei «parsimoniosi quattro». Tuttavia, senza l'appoggio della Germania una simile alleanza all'insegna dell'oculatezza non costituisce nemmeno una minoranza di blocco. Piuttosto, questi alfieri della risparmioso si sono guadagnati l'astio delle aree periferiche dell'Europa. «Manca una solidarietà reciproca», asseriscono proprio i Paesi dell'UE che storicamente non hanno mai avuto in grande considerazione i criteri di Maastricht, non hanno mai tenuto sotto controllo i propri conti ma sono stati sempre i primi a mettersi in fila quando c'erano dei soldi da distribuire. Se ora anche la Germania arriva al punto di sostenere questi Paesi con condizioni ancora più lasche del solito, la situazione appare effettivamente degna di essere presa sul serio. In ultima analisi resta solo da sperare che i Parsimoniosi quattro riescano ad arginare l'Unione del debito, che ormai da tempo ha preso piede in Europa passando per la porta di servizio. Alla luce della loro immodestia e della loro spiccata consapevolezza delle proprie capacità, il ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz e la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen cercheranno tuttavia molto probabilmente di capitalizzare sotto il profilo politico questo cambiamento paradigmatico innescato in Germania dalla crisi del coronavirus. Allo stesso modo, la cancelliera Merkel e l'ambizioso Macron hanno di sicuro fiutato l'opportunità irripetibile di entrare di diritto nei libri di storia a fianco di personaggi del calibro di Helmut Kohl e François Mitterrand.

 

Inciuci ormai sdoganati

In Germania il mese di maggio rende tutto ancora più nuovo: non solo il salvataggio di Lufthansa, peraltro estremamente controverso nel resto dell'Europa, ma anche e soprattutto i piani di salvataggio di ogni ordine e grado. Secondo quanto comunicato dalla Commissione UE lunedì scorso, ad oggi i Paesi UE hanno concesso aiuti e sovvenzioni di stato per la mirabolante somma di 2300 miliardi di euro. Quasi la metà (47 %) di tali aiuti sono andati a favore della Germania, il 18 % all'Italia, il 16 % alla Francia e il 4 % alla Spagna. La prestazione economica della Germania in seno all'Unione Europea (21,3 %) è tuttavia nettamente inferiore alla quota di aiuti ora erogati. In nessun altro Stato la discrepanza tra prestazione economica e quota di sovvenzioni risulta così accentuata. In Spagna il trend è addirittura inverso: la quota del 4 % degli aiuti complessivi si attesta nettamente al di sotto del contributo apportato alla prestazione economica dell'UE, pari a oltre il 7 %. La Germania sostiene quindi il costo maggiore per la crisi, creando ovviamente anche condizioni pregiudiziali per un ampio ventaglio di distorsioni economiche in prospettiva futura. Poiché con il varo di un premio di rottamazione si intende inoltre salvare anche l'industria automobilistica, già di per sé costantemente coccolata, accettando peraltro in maniera implicita un prolungamento artificiale dell'era dei motori a combustione interna, sotto il profilo politico si tende a mantenere un basso profilo per non attrarre inutilmente l'attenzione su di sé. Si tratta di un approccio un po' cialtronesco, ma in ultima analisi è in linea con lo stile dell'arrangiarsi imperante nell'Eurozona. La novità è soltanto quella che adesso anche in Germania gli inciuci non sono più un tabù.