Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
Edizione 26.03.2025

Fredy Hasenmaile
Economista capo di Raiffeisen
A volte le parole ritornano...
Con fare rammaricato, a fine 2021 il presidente della Federal Reserve (Fed) Jerome Powell aveva mandato in pensione l’ormai famigerato aggettivo «transitorio». Era stato proprio lui che, nella primavera dello stesso anno, aveva erroneamente definito l’aumento dei prezzi verificatosi in seguito alla pandemia da Coronavirus come un fenomeno passeggero, ovvero appunto «transitorio». Oggi sappiamo come quell’inflazione sia stata tutto fuorché temporanea. La Fed ha infatti dovuto attuare l’inasprimento monetario più aggressivo da decenni per riuscire ad arginare, almeno in parte, l’inflazione ormai straripante. Negli Stati Uniti le conseguenze di questi interventi sono tangibili ancora oggi. Ad agosto dello scorso anno Powell si è cosparso il capo di cenere e ha fatto un mea culpa, ammettendo di avere preso ai tempi un granchio colossale. Con la frase «The good ship Transitory was a crowded one» ha fatto però intendere che non era stato l’unico ad aver sottovalutato la situazione.
L’inflazione statunitense non è ancora domata
Da allora l’inflazione di fondo negli Stati Uniti si è attenuata, ma con il suo attuale livello del 2,6% si colloca ancora nettamente al di sopra del valore target del 2%. E i segnali che lasciano sperare in un raggiungimento di tale obiettivo in una prospettiva di breve termine sono quantomeno sparuti. Il trend in calo dell’inflazione ha infatti subito una brusca battuta di arresto e l’aumento delle tariffe doganali voluto da Trump rischia di sospingere i prezzi nuovamente al rialzo.
È quindi tanto più sorprendente che Jerome Powell sia tornato a riesumare la parola «transitorio», peraltro prima del previsto. Ha infatti utilizzato questo aggettivo la settimana scorsa commentando l’ultima decisione sui tassi assunta dalla Fed. In particolare, ha affermato che nel suo scenario di base i dazi doganali imposti dall’amministrazione Trump avrebbero prodotto un influsso soltanto «temporaneo» sull’inflazione. Esattamente come nel 2018, quando Trump aveva già disposto una tornata di aumenti doganali.
La Fed agisce di nuovo in ritardo?
Dopo essere rimasto scottato già una volta in passato, ci si sarebbe aspettato che Powell fosse meno avventato nell’esprimere la propria previsione. Invece il presidente della Fed ha minimizzato non solo il rischio di dazi più elevati, ma anche le possibili conseguenze del clima di grande incertezza indotto dalle azioni erratiche del governo Trump, citando i dati duri e puri che continuano ad attestare per gli USA una crescita decisamente robusta. William C. Dudley, ex presidente della Fed di New York, non ha voluto condividere queste stime, limitandosi ad affermare che «in verità, sul fronte dell’inflazione la Fed si è lanciata in una sorta di volo cieco».
Inflazione: un fenomeno psicologico
Un’impennata dei prezzi di carattere straordinario scompare ovviamente dalle statistiche dopo un anno, ma solo a patto che non si inneschino effetti secondari. Questi subentrano tra l’altro se l’incremento dei prezzi comporta un aumento delle aspettative di inflazione dei consumatori. In questo contesto, l’ultimo aggiornamento dell’indice della fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan ha destato scalpore. Le aspettative di inflazione a cinque anni dei consumatori interpellati sono aumentate in misura sorprendentemente accentuata dal 3,5% al 3,9%, il dato più elevato degli ultimi 30 anni. Powell ha sminuito questa impennata definendola soltanto un dato fuori scala e ha escluso questo elemento dalle proprie considerazioni di politica monetaria. E se invece non si trattasse di un dato anomalo? Può infatti darsi che, dopo la potente fiammata inflazionistica appena vissuta, le aspettative di rincaro dei prezzi non siano più ancorate allo stesso modo per economie domestiche e imprese. La politica doganale di Trump potrebbe gettare benzina sul fuoco dell’inflazione e il tentativo di Powell di fare buon viso a cattivo gioco con la sua infelice scelta lessicale potrebbe di nuovo culminare in una previsione errata di portata storica.
E tanti saluti dalle difficoltà di approvvigionamento
Ma a innescare impulsi inflazionistici possono essere non solo le aspettative di inflazione, bensì anche le distorsioni sul versante dell’offerta. Il miglior esempio a riguardo è venuto dalla pandemia da Coronavirus. Le misure per contrastare la diffusione del virus hanno causato notevoli discontinuità nelle catene di approvvigionamento, limitando la disponibilità di determinati beni i cui prezzi erano quindi saliti alle stelle. Anche i dazi hanno il potenziale per ricreare un simile scenario: quanto più si insinuano nelle fitte maglie della rete dei processi di fornitura, tanto più possono compromettere la disponibilità dei beni, soprattutto se consideriamo dazi di entità come quella paventata da Trump. Catene di approvvigionamento ottimizzate nel corso di anni implodono fragorosamente se da un momento all’altro tariffe doganali del 10% o 20% causano rendimenti negativi. Poiché l’amministrazione Trump non è esattamente nota per la capacità di focalizzare i propri interventi su punti specifici, sussiste il rischio di ampie distorsioni e quindi di impennate dei prezzi di portata ancora maggiore.
L’inflazione è raramente un fenomeno effimero
Uno degli insegnamenti del passato è che le banche centrali devono agire tempestivamente se vogliono contrastare le tendenze inflazionistiche. Nel momento in cui le aspettative inflazionistiche entrano in fermento, la possibilità di ricondurre il rincaro nell’alveo della normalità è perlopiù correlata a costi elevati. Se l’opinione pubblica perde la fiducia nella capacità della banca centrale di garantire la stabilità dei prezzi, ecco che l’inflazione diventa una profezia autoavverante. La Federal Reserve farebbe bene a non sottovalutare questi rischi. E Powell potrebbe entrare nella storia come il presidente della Fed scivolato due volte sulla stessa parolina.

Fredy Hasenmaile
Economista capo di Raiffeisen
Fredy Hasenmaile è economista capo e responsabile dell'Economic Research di Raiffeisen Svizzera dal 2023. Insieme al suo team, Fredy Hasenmaile analizza gli sviluppi globali e nazionali dei mercati finanziari ed economici. Rientra nei suoi compiti quello di interpretare gli eventi in ambito economico e di formulare previsioni sui principali indici economici.
Note legali