Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
17.12.2025
Fredy Hasenmaile
Economista capo di Raiffeisen
Libertà sotto pressione
No, non si tratta del solito discorso in occasione del 1° agosto, bensì di un pensiero in vista della conclusione di un anno al contempo memorabile e movimentato. Nonostante le numerose notizie funeste susseguitesi negli scorsi mesi, il 2025 si avvia a una conclusione tutto sommato indolore. Eppure non sembra riuscire a diffondersi un vero senso di sollievo e, in effetti, la sensazione di essere esposti a molteplici minacce non si è attenuata E per questo c’è un motivo ben chiaro: il concetto stresso di libertà è sotto pressione.
L’avvento della Cina cambia gli equilibri
La lotta tra democrazie occidentali e autocrazie è una competizione sistemica globale, nella quale gli Stati occidentali si impegnano a favore della libertà e dei diritti umani, mentre le autocrazie come Russia e Cina si profilano come modelli alternativi all’ordine consolidato. Esse cercano di estendere il loro raggio di influenza con pressioni economiche e militari, propaganda mirata e con lo svuotamento sistematico delle norme internazionali. Soprattutto l’ascesa della Cina a potenza mondiale rischia di spostare drasticamente gli equilibri globali. Le autocrazie, in particolare i due Stati sopracitati, investono somme ingenti per instillare confusione nelle società occidentali, indebolire le istituzioni democratiche e minare i valori che stanno alla base delle stesse.
Voci critiche del governo ridotte al silenzio negli Stati Uniti
Secondo i dati dell’istituto V-Dem dell’Università di Göteborg, nel 2024 si sono registrati per la prima volta da 20 anni più Stati autocratici (91) che democratici (88). Inoltre, molti più Paesi stanno attraversando un processo di autocratizzazione, nel cui ambito le conquiste democratiche si riducono in modo misurabile. Lo sviluppo di gran lunga più preoccupante sta però andando in scena proprio nel Paese che a lungo è stato l’emblema stesso della libertà: gli Stati Uniti d’America. Una cartina di tornasole affidabile per la qualità della democrazia è il prezzo che la cittadinanza paga se si schiera apertamente contro il governo. In via ideale tale onere è prossimo allo zero, ma negli Stati Uniti non è più così: il governo agisce sistematicamente contro le persone che esprimono pareri non allineati, spingendo l’FBI a svolgere indagini nei loro confronti oppure avviando procedimenti a loro carico attraverso le procure distrettuali o l’autorità fiscale. Molte voci critiche sono state già messe a tacere. E anche le decisioni particolarmente controverse del governo suscitano un’opposizione sorprendentemente flebile.
Erosione della libertà di stampa
Nei Paesi in via di autocratizzazione, l’arma prediletta per combattere la democrazia è tarpare le ali alla libertà di espressione e di stampa. È infatti dallo stato di forma di queste libertà che si può riconoscere la direzione in cui si sta muovendo un Paese. L’amministrazione al servizio di Donald Trump mantiene un rapporto teso, spesso conflittuale con i media. Il giornalismo critico viene screditato con l’accusa di «fake news», l’accesso alle informazioni è ostacolato attraverso la revoca degli accrediti e la stampa viene diffamata come «nemica del popolo» o inondata di azioni legali. Al contempo i «nuovi media» filogovernativi godono di un trattamento di favore. A questo si aggiungono gli sforzi per un consolidamento massiccio del panorama mediatico e per un’ingerenza politica nei gruppi mediatici, come di recente nel caso dell’acquisizione di Warner Bros, destinata a cambiare profondamente lo scenario mediatico statunitense. Ma da qualche tempo il governo statunitense si spinge anche oltre: su un sito web appositamente allestito vengono messi alla gogna con tanto di nome e cognome i giornalisti e le giornaliste che, secondo il governo, hanno pubblicato notizie false, unilaterali o fuorvianti.
La separazione dei poteri al banco di prova
L’erosione della libertà di stampa negli Stati Uniti non è tuttavia iniziata appena con il secondo mandato presidenziale di Trump. Nell’indice mondiale della libertà di stampa di Reporter senza frontiere, gli Stati Uniti sono crollati di dieci posizioni già nel 2024 e occupano attualmente soltanto il 57° posto. A titolo di raffronto, la Svizzera si colloca al nono posto. Anziché impegnarsi a favore della tutela e della promozione della libertà di stampa, l’amministrazione Trump la dileggia ulteriormente. Con il suo modus operandi erode così una delle fondamenta della democrazia americana. Ma il sistema dei «checks and balances», che caratterizza una democrazia consolidata, viene attualmente messo alla prova da Trump anche in altri ambiti: attraverso una valanga di decreti, Trump governa scavalcando il Parlamento e le leggi vigenti e ignora le ordinanze dei giudici volte a fermare i suoi decreti. Trump agisce appellandosi a stati di emergenza o a questioni di sicurezza nazionale, come ad esempio nel caso della guerra dei dazi. È quindi con trepidazione che il mondo intero attende l’imminente decisione della Corte suprema circa la legittimità dei dazi «reciproci». La sentenza sarà rilevante non tanto per i dazi come tali, visto che l’amministrazione Trump può imporli anche basandosi su altre leggi, quanto per il principio della separazione dei poteri. Una sconfitta di Trump in una questione per lui così cruciale rafforzerebbe il ruolo del Congresso, sottolineando il fatto che dopotutto il Presidente degli Stati Uniti non è onnipotente.
La libertà inizia dalle piccole cose
La Corte suprema degli Stati Uniti ha tempo fino a giugno dell’anno prossimo per prendere la sua decisione, ma molti giuristi si attendono un verdetto già a gennaio del 2026. Nei primi mesi del nuovo anno dovremmo quindi già avere una sentenza apripista. Noi in Svizzera non possiamo influire in alcun modo su questa resa dei conti tutta a stelle e strisce. Nel braccio di ferro globale sulle libertà democratiche ci ritroviamo relegati sotto molteplici punti di vista al ruolo di semplici spettatori. Quello che però possiamo fare è mantenere la Svizzera come fulgido esempio di democrazia stabile e orientata al consenso e intraprendere tutto il possibile per scongiurare derive verso una situazione come quella che attualmente attanaglia gli Stati Uniti. Gli sviluppi disfunzionali in tale Paese sono infatti un processo strisciante che in realtà è iniziato già parecchio tempo fa, con una polarizzazione della società, un progressivo inasprimento dei toni politici e manifestazioni di astio e acredine su un versante e sull’altro dello spettro politico. Ebbene, tendenze analoghe si osservano anche qui in Svizzera. Non pochi politici di lunga data con i quali ho avuto occasione di conversare nelle scorse settimane stanno valutando la possibilità di ritirarsi dalla vita politica attiva. In modo del tutto indipendente gli uni dagli altri, riferiscono che ideologia settaria e mancanza di riguardo si stanno insinuando sempre più in profondità nell’attività politica, rendendo ostico il dialogo. Principiis obsta, dunque – stroncare il male sul nascere!
Con queste parole di riflessione prendo congedo da voi per la pausa di Natale. L’imminente periodo di festività ci offre la possibilità di fermarci, voltare indietro lo sguardo e, iniziando da noi stessi, chiederci in quali ambiti avremmo potuto agire con maggiore convinzione ed efficacia come costruttori di ponti, sul piano professionale così come su quello personale. Vi auguro di trascorrere un periodo tranquillo e di pace, che vi dia anche il tempo per coltivare simili riflessioni. E anche nel nuovo anno spero di avervi ancora come affezionati lettori e lettrici.
Fredy Hasenmaile
Economista capo di Raiffeisen
Fredy Hasenmaile è economista capo e responsabile dell'Economic Research di Raiffeisen Svizzera dal 2023. Insieme al suo team, Fredy Hasenmaile analizza gli sviluppi globali e nazionali dei mercati finanziari ed economici. Rientra nei suoi compiti quello di interpretare gli eventi in ambito economico e di formulare previsioni sui principali indici economici.
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