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Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

26.11.2025

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Meglio Schöllenen anziché Winkelried

Grande sollievo ha suscitato in Svizzera la notizia di un accordo sulla controversia relativa ai dazi doganali, giunta dagli Stati Uniti venerdì 14 novembre. La Svizzera è dunque uscita dall’impasse. Dopo un periodo di tre mesi in cui una tariffa doganale proibitiva del 39 percento è stata applicata a gran parte delle esportazioni svizzere verso gli Stati Uniti, una volta finalizzate le disposizioni dettagliate i dazi doganali dovrebbero scendere a breve a un livello più moderato pari al 15 percento. Ciononostante, da certi ambienti è giunta una violenta ondata di critiche forti e pesanti.

 

Capitolazione o limitazione dei danni?

Nello specifico si è parlato di capitolazione e la Svizzera è stata accusata di non aver nemmeno cercato di combattere. Va detto che è alquanto difficile verificare se sia vero o meno quanto affermato da queste voci critiche. In ogni caso, la Svizzera ha saggiamente negoziato dietro le quinte e non alla luce del sole. Questo perché notoriamente il Presidente degli Stati Uniti reagisce rapidamente in modo irritato e poi risponde con misure del tutto sproporzionate. Come ad esempio è successo nel caso del Canada, quando un innocuo video sul libero scambio ha fatto arrabbiare Donald Trump a tal punto da indurlo ad aumentare senza alcun indugio i dazi doganali sulle merci canadesi di ulteriori 10 punti percentuali oltre al livello in vigore già esorbitante del 35 percento.

 

Speranze irrealistiche contro pragmatismo

Chi pretende che la Svizzera avrebbe dovuto combattere eroicamente per un risultato migliore misconosce la realtà. Il volume di merci scambiate negli Stati Uniti è più di dieci volte superiore a quello della Svizzera, paese fortemente orientato al commercio, ma pur sempre di dimensioni ridotte. E in termini di prodotto interno lordo, gli Stati Uniti sono persino oltre trenta volte più grandi. Le eventuali misure di ritorsione ripetutamente proposte, come ad esempio l’applicazione di dazi doganali sulle importazioni di whisky americano o di motociclette Harley-Davidson, rappresenterebbero poco più che una mera seccatura per gli Stati Uniti, ma di sicuro non sarebbero uno strumento efficace al fine di esercitare pressioni e dunque nemmeno una strategia negoziale intelligente. Saper riconoscere la realtà è a volte amaro, ma è certamente più efficace e proficuo. Oppure che cosa fareste voi? Preferireste dare un pugno in faccia a Mike Tyson?

Se anche partner commerciali molto più potenti, come l’Unione europea o il Giappone, cedono e si piegano miseramente alle pressioni americane, come avrebbe potuto la piccola Svizzera, tra tutti i paesi, condurre una guerra commerciale di successo? Occorre pragmatismo. Ed è proprio quello che hanno dimostrato i dirigenti delle aziende svizzere in occasione della loro storica visita nello Studio Ovale di Donald Trump, i quali sono stati a loro volta aspramente criticati. Anche se, in realtà, sono stati i primi a rendersi conto - in anticipo rispetto alla Svizzera ufficiale - che le condizioni quadro politiche erano radicalmente cambiate.

 

Guadagnare tempo

Con questo accordo la Svizzera guadagna tempo. E questo ha già di per sé un valore intrinseco. Le cose possono cambiare. Se invece non fosse stato raggiunto alcun accordo, i dazi doganali continuerebbero a causare danni. Ogni mese in più con tariffe doganali proibitive del 39 percento implicherebbe che la domanda statunitense dei prodotti interessati si sposterebbe in misura sempre maggiore verso altre merci, comportando gravi problemi esistenziali per alcuni produttori di beni. L’episodio con il Brasile dimostra chiaramente che, in caso di accordo sui dazi, il tempo gioca a favore della Svizzera. Infuriato per l’azione intrapresa dalla magistratura brasiliana nei confronti dell’ex presidente Bolsonaro, in estate Trump ha innalzato le tariffe doganali sulle importazioni brasiliane al 50 percento. A metà novembre ha, tuttavia, revocato tutti i dazi doganali su manzo, caffè e vari tipi di frutta provenienti dal Brasile e da altri paesi, considerato che l’incremento dei prezzi dei prodotti alimentari stava causando un malcontento sempre più crescente tra la popolazione americana nonché facendo crollare a picco gli indici di gradimento del Presidente degli Stati Uniti. Prima o poi saranno i suoi stessi errori a ritorcersi contro Donald Trump e così il Presidente imparerà che i dazi doganali non sono la soluzione a tutti i problemi, poiché allo stesso tempo ne creano di nuovi. In questo senso, dunque, il tempo gioca a favore della Svizzera, ad esempio nel caso in cui risultasse che le tariffe reciproche siano illegali.

 

Nessun premio di bellezza

La frustrazione per l’evidente ricatto nei confronti della Svizzera è comprensibile. Ma è importante mantenere il sangue freddo e non lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Nelle trattative, infatti, le emozioni sono raramente un buon consigliere. Considerato che la Svizzera ha in mano le carte peggiori, in quanto piccolo paese orientato all’esportazione. Almeno con l’accordo doganale, il nostro paese è riuscito a ridurre l’onere per l’industria dell’esportazione a un livello sopportabile. Grazie all’esenzione dai dazi per i prodotti farmaceutici e numerosi altri prodotti chimici, la tariffa doganale effettiva per la Svizzera è “solo” pressoché del 7 percento, una delle aliquote doganali medie più basse di tutte le principali economie. L’abolizione dei dazi all’importazione sul caffè, che rappresenta quasi i due quinti delle esportazioni alimentari svizzere, significa che nello specifico la tariffa doganale effettiva sarà probabilmente ancora più bassa.

 

Meglio Schöllenen anziché Winkelried

Considerate le diverse concessioni e anche il modo in cui è stato raggiunto l’accordo, non si può dire che la Svizzera abbia vinto un premio di bellezza. Ma questo è secondario. La Svizzera ha perseguito troppo a lungo una politica da allieva modello. Ha implementato le prescrizione bancarie più severe di Basilea III prima dei principali centri finanziari concorrenti, come ad esempio gli Stati Uniti, l’Unione europea o il Regno Unito, ha altresì introdotto frettolosamente l’imposizione minima dell’OCSE prima ancora di sapere se sarebbe divenuta o meno lo standard globale. Due terzi dei paesi del mondo non hanno tuttora implementato l’imposizione dell’OCSE. Questa eccessiva correttezza ha indebolito inutilmente la competitività del nostro paese. La Svizzera deve abbandonare tale politica da allieva modello e tornare a privilegiare la “cleverness”, ossia un mix di intelligenza e furbizia. E a tal proposito non deve in nessun caso far la parte di Winkelried nella controversia relativa ai dazi doganali statunitensi. Sarebbe molto meglio se nelle promesse fatte all’Amministrazione Trump, la Svizzera si ispirasse a un’altra leggenda. Dopo aver concluso il patto con il diavolo, gli urani mandarono per primo un caprone attraverso il Ponte del Diavolo nella gola di Schöllenen.

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Fredy Hasenmaile è economista capo e responsabile dell'Economic Research di Raiffeisen Svizzera dal 2023. Insieme al suo team, Fredy Hasenmaile analizza gli sviluppi globali e nazionali dei mercati finanziari ed economici. Rientra nei suoi compiti quello di interpretare gli eventi in ambito economico e di formulare previsioni sui principali indici economici.