Edizione 13.01.2021 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
Venerdì scorso mi ha telefonato un mio vecchio compagno di università, che avevo perso di vista da molto tempo, e dopo un breve scambio per gli auguri di buon anno è giunto subito al dunque e, in preda all'euforia, mi ha raccontato tutti i dettagli sul modo in cui nel giro di una settimana avrebbe guadagnato un sacco di soldi con i bitcoin. Ha infatti comprato quando i bitcoin quotavano USD 33'000 e ora il corso è salito nettamente sopra USD 40'000.
E questo è davvero fantastico, spiega ribadendo «in soli cinque giorni». Inoltre, ha sottolineato il fatto che lui lo aveva sempre detto. Per questo motivo, ovviamente, me lo ha voluto comunicare, perché sa perfettamente che lavoro svolgo. E ha altresì letto o sentito da qualche parte varie dichiarazioni critiche da parte mia in merito al mercato delle criptovalute. Probabilmente voleva semplicemente sottintendere che io non ne capisco molto dei bitcoin e delle altre monete virtuali, mentre lui invece sì. Eccone ancora uno – ho pensato tra me e me – che scambia l'ingordigia soddisfatta con la ragione. Posso solo sperare che il mio vecchio compagno di studi abbia almeno realizzato una parte del guadagno, il che sarebbe già una grande prestazione considerato che il prezzo di accesso di una settimana fa rappresentava già un massimo storico. Oppure che l'esuberanza irrazionale prosegua ulteriormente e che non subentri subito un secondo contraccolpo.
In ogni caso l'hype delle criptovalute si è di nuovo ridimensionato, in misura significativamente più marcata ed estrema rispetto alla prima ondata, che alla fine del 2017 aveva registrato una brusca fine. Anche allora un numero massiccio di speculatori amatoriali e piccoli investitori sono finiti al patibolo della caduta libera delle quotazioni. Dopo il bagno di sangue in cui sono sprofondati i corsi durante il weekend e il lunedì, la capitalizzazione dei bitcoin da soli ammontava a oltre USD 600 miliardi, ossia pari a un livello tuttora superiore a quello di tutto il mercato delle criptovalute prima del primo crollo a inizio 2018. Ciò significa in concreto che solo alcuni speculatori e pochi fortunelli potevano ancora guadagnare avidamente denaro a scapito di numerosi altri che si sono lasciati prendere dalla loro stessa ingordigia. Le oscillazioni di corso, ovvero la volatilità, in questo ordine di grandezza segnalano però che questi mercati sono oltremodo poco trasparenti, e non che sono altamente complessi come sostengono di continuo i «fricchettoni delle criptovalute e i nerd tecnologici». In effetti non mi sorprenderebbe se fossero soltanto gli algoritmi a guidare i corsi, anziché la scarsità, la stabilità del valore e l'eccedenza di domanda. E chissà che non si tratti magari di uno schema di Ponzi o che il sistema non serva persino per il riciclaggio di denaro in grande stile, considerato che le criptovalute vengono utilizzate quale mezzo di pagamento perlopiù esclusivamente nel darknet. Tra alcuni anni potremo scoprire se e in che misura si prestano quale mezzo di pagamento nella nostra vita quotidiana attraverso il rapporto dell'Amministrazione delle contribuzioni del Canton Zugo. Anche se, in realtà, quest'ultima riceverebbe però sempre un importo in franchi svizzeri per i debiti che i contribuenti intendono pagare in criptovalute. Un mezzo di pagamento liquido e ampiamente riconosciuto funziona tuttavia in modo diretto. Non necessita di alcuna valuta parallela.
Fidarsi è bene, controllare è meglio
In fin dei conti ogni investimento, a meno che non sia a fini puramente speculativi, è una questione di fiducia. Sussistono indagini economiche, tra cui uno studio della banca centrale dei Paesi Bassi, da cui emerge che le persone le quali ritengono di potersi fidare degli altri detengono con maggiore probabilità azioni. Inoltre, la loro quota azionaria è altresì più elevata in media di 3,4 punti percentuali. È interessante notare che questo effetto della fiducia diminuisce con l'aumentare del livello di formazione. Pertanto potremmo esprimere questo concetto anche in maniera del tutto cruda nel modo seguente: le cerchie della popolazione con un livello di formazione inferiore che si fidano altamente del prossimo si lasciano maggiormente ingannare dagli «esperti». Invece, le cerchie con un livello di formazione superiore non si fidano «ciecamente» e in caso di dubbio si affidano piuttosto alla propria capacità di discernimento. Va detto che attualmente in tutto il mondo i grandi esperti pullulano. Grazie a Internet e ai social media anche i sedicenti esperti trasmettono le proprie assurdità all'ampia massa dell'opinione pubblica, riuscendo a far breccia e a conquistarne alcuni. Non di rado anche sul piano finanziario. Ma in questi casi la semina non è rappresentata dall'energia criminale con cui vengono disseminate queste idee, bensì piuttosto dell'ingordigia di molti che mirano a guadagnare con i propri soldi ancor più denaro in un breve lasso di tempo. All'eccesso, questo comportamento porta infine alla fiducia cieca e alla perdita assoluta del controllo.
Il mito dell'efficienza, il mito della tecnologia
Durante gli studi ho imparato che i mercati finanziari sono mercati straordinariamente efficienti, e che secondo questa teoria qualsivoglia informazione disponibile confluirebbe immediatamente nelle quotazioni dei corsi. L'economista di Chicago Eugene Fama è però di parere diverso, e questo gli ha conferito una certa popolarità. Secondo la sua opinione l'esercito di investitori in caccia di rendimenti aiuterebbe a realizzare soltanto pochissimi guadagni oltre le proporzioni normali. Chi crede nell'efficienza dei mercati finanziari non può credere al contempo a un esperto che classifica ad esempio un azione come costosa o conveniente. L'efficienza dei mercati diventa dunque una teoria inutilizzabile, che non diventa migliore quanto più viene ripetuta. Bensì diventa solo un mito. Proprio come non esiste l'homo oeconomicus, non esiste nemmeno l'investitore che calcola in maniera del tutto razionale. Dato che sui mercati finanziari, analogamente all'economia reale, le persone agiscono in base ai loro punti di forza e alle loro debolezze, con timore o avidità, con invidia o risentimento. Se il mercato fosse veramente efficiente, allora gli investitori non potrebbero far nulla di sbagliato. Ogni titolo sarebbe valutato in maniera adeguata in qualsiasi momento. E anche se fosse effettivamente così non potrei comunque sapere a che livello sarà domani un rispettivo prezzo. A sua volta, la quotazione di domani può verificarsi anche in seguito a fattori non fondamentali, quali la manipolazione dei corsi o il potere di mercato. Ad esempio se un commerciante di valori mobiliari effettua acquisti a supporto di un corso. Oppure nel caso in cui un titolo di una grande società quotata viene «raccomandato», ossia si consiglia di acquistarlo, conservarlo o venderlo, e ciò influisce sulle quotazioni in misura spesso non trascurabile. Di conseguenza bisogna partire dal presupposto che nel mercato delle criptovalute tali fenomeni possono persino essere più pronunciati a causa delle poca trasparenza e della presunta elevata complessità della tecnologia. Pertanto, è meglio andare direttamente al casinò. Anche perché lì non ci sono manipolazioni – tranne nei vecchi film sulla mafia, s'intende – e non ci sono nemmeno i cosiddetti esperti che insegnano a puntare sul nero o sul rosso. E tutto ciò a parità se non persino a maggiori opportunità di guadagno e analogo elevato rischio estremo, ma pur sempre in un ambiente più simpatico.