Nervoso

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Edizione 25.09.2019 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Tra l'Iran e gli USA non è del tutto escluso che si vada oltre la mera dimostrazione di forza. Basti pensare innanzitutto alle dichiarazioni del Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif rilasciate alla CNN, canale d'informazione statunitense, in cui ha fatto sapere in maniera inequivocabile al popolo americano che l'Iran non vuole alcun conflitto militare, ma non esiterebbe nemmeno un istante a difendere il proprio Paese. Un'azione militare da parte degli USA, che secondo Zarif sarebbe basata su un'induzione all'errore, poiché l'Iran contesta con veemenza una qualsivoglia partecipazione agli attacchi con i droni alle raffinerie petrolifere saudite, causerebbe una «vera e propria guerra» con un numero ingente di vittime.

L'altra parte, a sua volta, sostiene nella persona del Ministro degli Esteri statunitense Mike Pompeo, che l'Iran sarebbe direttamente responsabile degli attacchi. Ultimamente anche la Germania, la Gran Bretagna e la Francia ritengono colpevole l'Iran. In fin dei conti non si tratta tuttavia di sapere chi sia veramente responsabile, se i ribelli yemeniti Houthi che reclamano gli attacchi oppure l'Iran, ma bensì piuttosto di quello che frulla per la testa del Presidente statunitense Donald Trump. O forse anche di Boris Johnson? Il quale nello specifico ha fatto riferimento a grande sorpresa al nuovo accordo sul nucleare con l'Iran, accennando altresì a chi potrebbe stipulare un accordo ovviamente migliore con l'Iran. Secondo Johnson Lester Holt della NBC, il Presidente Trump sarebbe il «one guy» in grado di concludere un accordo migliore. Trump e Johnson, i due si sono trovati.

Per fortuna Trump non ha più parlato di ritorsioni – come immediatamente dopo gli attacchi – e per fortuna da allora non si è lasciato trascinare in un'azione spontanea avventata. Tuttavia, ciò è ben lungi dal significare che il fumo si sia ora diradato. In ogni caso gli USA iniziano già ad equipaggiare i sauditi per qualsiasi evenienza. Inoltre, l'Iran si mostra estremamente combattivo, poiché il Paese è colpito duramente dalle sanzioni economiche già in essere, che su richiesta di Trump ora dovrebbero venire persino inasprite ulteriormente. Questo provoca a sua volta quasi automaticamente una controreazione più rigida. Una tale costellazione può degenerare rapidamente fino a divenire una minaccia reale. Naturalmente anche il Presidente della Repubblica francese vuole fare le sue mosse sul grande scacchiere mondiale. La Francia intende svolgere ufficialmente il ruolo di mediatrice e stando ai media il Ministro degli Esteri dell'esagono Jean-Yves le Drian avrebbe già incontrato il suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif a New York. In definitiva sarà interessante vedere chi discuterà che cosa e quando. A fronte dell'attuale costellazione delicata soltanto una cosa passa in secondo piano: l'intenzione di sfruttare politicamente la situazione. Per una volta Angela Merkel non è in prima linea al fronte – per ben due motivi. Primo, la Germania tenta tradizionalmente di evitare qualsiasi escalation, al fine di non essere esposta alle pressioni di dover sostenere un intervento militare. Il secondo motivo più importante potrebbe essere che la Merkel non si candiderà più come cancelliera e pertanto non deve più mettersi in bella mostra allo scopo di essere rieletta.

 

Rielezione a ogni costo

Nel quadro dell'insegnamento della cosiddetta nuova economia politica si parla di cicli congiunturali politici, i quali in parole semplici indicano che i parametri macroeconomici vengono gestiti in maniera molto consapevole dai governi. Così tanto che al momento delle elezioni viene attribuito un effetto generale che incrementa l'indebitamento statale. Tra poco più di un anno, in data 3 novembre 2020, avranno luogo le prossime elezioni presidenziali negli USA. Il Presidente Trump è già passato inequivocabilmente alla modalità campagna elettorale. Ed è inquietantemente nervoso, non tanto per l'Iran, ma piuttosto per l'economia statunitense. Trump crede nella «simple phrase», ossia la frase semplice che sostiene: «It's the economy, stupid». Questo slogan è stato creato dallo stratega delle campagne elettorali Bill Clinton ben oltre venti anni fa. Il modo in cui Trump denigra apertamente il governatore della banca centrale Jerome Powell non lascia spazio ad alcun'altra conclusione: intende impedire a ogni costo un rallentamento della congiuntura USA. Considerata la delicata situazione sul fronte geopolitico si può solo sperare che Trump riesca nel suo intento, dato che in caso contrario dovrà mettersi in bella mostra in qualche altro ambito. E speriamo non sia nel Golfo, bensì piuttosto giocando a golf ...

La prossima settimana sarò in ferie e dunque questa newsletter non sarà pubblicata. Potrete leggere il mio prossimo commento nella settimana 41.