Edizione 15.01.2020 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
Il domenicale NZZ am Sonntag ha di recente pubblicato un articolo in cui si affermava che i casi di incapacità lavorativa per motivi psicologici sono aumentati drasticamente. Di fatto le statistiche presentate in merito puntano vertiginosamente verso l'alto. Oltre l'80 % di incapacità lavorativa in più a causa di malattie psicologiche secondo la cassa pensioni PKRück e un buon 50 % di incremento dell'andamento dei casi dovuti a malattie psichiche stando all'assicurazione di indennità giornaliera di Swica.
Perlopiù si tratta di burnout o depressioni, come spiega la NZZ. Questo è indubbiamente un problema da prendere con serietà, considerato che le malattie psichiche sono particolarmente gravi, dato che l'incapacità al lavoro si protrae per 18 mesi, ossia il doppio del tempo rispetto alle altre patologie. Per non parlare dei costi ingenti che causano. Già nel 2012 la Segreteria di Stato dell'economia (Seco) stimava i «costi dovuti allo stress» a 10 miliardi di franchi. Oggi si aggirano attorno a quasi il doppio di questo importo. Se si tiene presente che i costi complessivi della salute non ammontano neppure a 85 miliardi di franchi, lo «stress» è di fatto un fattore rilevante per l'economia nazionale.
Nell'analisi delle cause non bisognerebbe, tuttavia, limitarsi soltanto al mondo del lavoro. In termini di quantità ora lavoriamo in media tanto quanto nel 2012. L'incremento delle malattie non può pertanto essere dovuto a questo fattore. Si può forse anche supporre che oggi i sintomi di stress e il bornout sono socialmente messi meno al bando rispetto alla società votata alla performance che regnava a quei tempi e che sempre più persone interessate da questi disturbi escono allo scoperto nel momento in cui non possono o non vogliono più tenere il passo. Ciononostante, nell'ottica di una considerazione puramente quantitativa il mondo del lavoro odierno genera sicuramente meno stress rispetto ai tempi dei nostri genitori o nonni. Basti pensare che loro lavoravano (nel 1950) ancora 2'400 ore l'anno, mentre oggi si lavoro solo 1'500 ore circa. Infatti, dalle quasi 50 ore di allora la settimana lavorativa è scesa a ben 42 ore e al contempo i giorni di vacanza retribuiti sono aumentati da due a quasi cinque settimane. Lo stress deve dunque provenire da altrove e non dal mero mondo del lavoro, anche se la reperibilità costante incrementa l'intensità di lavoro e a volte – prevalentemente nel settore dei servizi a considerevole crescita – ha annacquato molto il confine tra vita professionale e vita privata. In una certa misura siamo forse anche noi stessi a stressarci personalmente?
Non solo ricchi, ma anche belli
Ai tempi della mia infanzia ero un appassionato di automobili. Conoscevo tutti i modelli, il motore, la potenza e le dimensioni. Sapevo però anche che la mia famiglia non avrebbe mai potuto acquistare una di queste automobili da sogno. Chi poteva permettersi il lusso a quei tempi, se la tirava anche molto volentieri sapendo che per questo era ammirato da tutti. Apparteneva tuttavia a una minoranza. La minoranza delle economie domestiche a doppio reddito, la minoranza delle coppie (coniugate) senza figli o la minoranza dei single a reddito ampiamente sopra la media. Durante la mia infanzia ci si definiva fortemente attraverso i valori materiali. Tuttavia, a quei tempi erano poche le persone che potevano permettersi i jeans firmati o le scarpe da ginnastica di marca, e ancor meno gli orologi costosi. Oggi grazie ai cambiamenti sociali e all'aumento generale del benessere è tutto diverso. I valori materiali sono tuttora importanti, ma considerato che molte più persone possono permetterseli non rappresentano più uno status symbol vero e proprio della società odierna. Infatti, al giorno d'oggi quasi più nessuno si gira a guardare una vettura di lusso. Guadagnare 70'000 franchi l'anno oppure 100'000 franchi resta sicuramente rilevante per il singolo, ma non si vede più necessariamente la differenza a prima vista come prima, quando il 30 % di reddito in più produceva effetti sulle possibilità di consumo in misura nettamente superiore. Gli alimentari o l'abbigliamento rappresentano allora la metà o più del reddito percepito da un'economia domestica, mentre adesso questo valore rappresenta in media appena il 15 %. Oggi a fare la differenza non sono più le scarpe da ginnastica dell'Adidas, bensì l'abbonamento al fitness, il corso di arrampicata, i corsi di power yoga e così via. O perlomeno è quanto crede la maggior parte di noi. La competitività sociale quale consolidamento dello status individuale si è per così dire insediata, a prescindere dall'ambito materiale, dato che ora sono numerosi a potersi permettere molto. Essere ricchi non basta più per differenziarsi. Bensì è necessaria anche la bellezza, di qualsiasi genere, come pure l'originalità oppure qualsivoglia tratto distintivo unico, che i nostri coach di life style ci spacciano per indispensabili per l'auto perfezionamento. Oggi infatti ottimizziamo il nostro ego in maniera diversa: non più attraverso quello che abbiamo, ma attraverso ciò che siamo. E questo può essere davvero molto stressante.
Il wellness può essere fonte di stress
In tutta la sua vita mio padre non è mai entrato in un centro fitness, e tanto meno in un albergo wellness. La pedicure o la manicure erano del tutto estranee a mia madre. Oggi tutti sanno che cosa significano questi due termini ed anche alcuni uomini ne usufruiscono pure. Ma perché nei centri fitness ci sono specchi ovunque? Affinché possiamo ammirare noi stessi, seguire quotidianamente i nostri progressi e naturalmente per poter guardare che cosa fanno gli altri. A che cosa servono i capellini da baseball o persino i berretti di lana nel sollevamento pesi? Si indossano solo perché sono stati consigliati da un influencer. Perché un numero così elevato di uomini porta la barba? Semplicemente perché oggi è trendy. Perché ho bisogno di un personal trainer? E perché andiamo in vacanza in territori sconosciuti, che prima non avevamo mai nemmeno sentito nominare? No, non è perché possiamo permettercelo, bensì perché i trend coach ci insegnano quello che è attualmente «in». Dobbiamo essere costantemente aggiornati, al fine di non lasciarci sfuggire alcuna tendenza del momento. E seguiamo questi dettami, poiché molti di noi vogliono essere speciali o perlomeno fingere di avere successo. Ma è però incredibilmente estenuante avere successo sul lavoro, essere in perfetta forma a qualsiasi età, presentarsi con uno stile impeccabile, essere un partner da sogno e un genitore ideale, nonché al contempo avere anche un bell'aspetto. Per rimanere costantemente informati sulle mode del momento bisogna investire molto tempo. E il peggio in tutto ciò è che questo ci rende felici soltanto se lo condividiamo con gli altri. Oggigiorno l'ego ottimizzato deve essere commercializzato via social media. Ormai molti di noi non sono più soddisfatti di ciò che hanno, e vogliono anche comunicarlo agli altri. Proprio come gli sbruffoni di allora, solo che oggi non lo si fa più con la propria automobile da sogno. Persino il wellness può essere fonte di stress, se poi devo comunicare a mezzo mondo dove sono stato e come è stato il soggiorno – ovviamente con la dovuta documentazione foto e video, s'intende. Passare due ore al giorno sul cellulare è tempo prezioso che viene sottratto ad altro. E poi non abbiamo nemmeno ancora guardato l'ultima serie di grido su Netflix, sempre che troviamo il tempo per farlo, visto che ci giungono costantemente nuovi SMS, Whatsapp o nuovi post. Certo, a volte anche un'e-mail di lavoro. Stress allo stato puro! Non sorprende dunque che oggi sempre meno persone riescono a tenere il passo con gli attuali ritmi febbrili e superficiali. Non è il lavoro a generare stress, bensì il life(style) o stile di vita.