Tutti fanno orecchio da mercante

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Edizione 19.08.2020 – Il parere dell'economista capo di Raiffeisen

Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen
Martin Neff – Economista capo di Raiffeisen

Nel centro fitness in cui mi stavo allenando l'altro giorno è risuonato improvvisamente un annuncio vocale che rammentava a tutti i presenti le note regole propugnate dal nostro Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), sottolineando in particolare le disposizioni di distanziamento sociale minimo.

Il fatto che queste indicazioni siano state date via altoparlante è stato per me qualcosa di assolutamente inedito, e poiché frequento anche altri centri fitness della stessa catena mi sono informato se questi annunci siano ora uno standard consolidato in tutta la Svizzera. Niente di tutto ciò. Vige per così dire il più lasco federalismo, e ogni sede ha un ampio margine di manovra sulle modalità con cui attuare le disposizioni dell'UFSP. Tutto questo ricorda fortemente l'attuale prassi comune nei Cantoni, nel cui dedalo è facile smarrirsi: chi può fare cosa dove? Con mascherina o senza mascherina? La conseguenza non può che essere una totale anarchia. In una palestra hanno avvolto un attrezzo di allenamento su due con del nastro adesivo rosso e bianco, in modo da impedirne l'utilizzo. È tuttavia sconcertante che questa misura sia stata adottata soltanto quando la distanza interpersonale minima è stata ridotta da 2 a 1,5 metri. Allo stesso modo, in un altro centro fitness hanno provveduto solo in un secondo momento a installare lastre di plexiglass fra i singoli tapis roulant e stepper – una cosa molto strana. Adesso è scritto ovunque a grandi lettere che gli attrezzi devono essere disinfettati prima e dopo l'uso, e per questo vengono messi a disposizioni opportuni strumenti di pulizia. Ebbene, non ho visto una singola persona che si attenga a questo comportamento. Da parte sua, il personale non pensa minimamente (oppure non ha istruzioni specifiche in merito) ad ammonire i clienti che disattendono le disposizioni di sicurezza tanto sbandierate. Però gli istruttori della palestra non hanno perso il senso dell'umorismo. Quando ho chiesto perché nessuno si attenesse alle disposizioni, la risposta è stata: «Allora dovremmo scrivere le cose in arabo». E non si è trattato di un ottuso riflesso xenofobo, ma di una battuta in piena regola. Il succo del discorso: le persone presterebbero quasi più attenzione a qualcosa scritto in arabo, mentre gli annunci nelle lingue nazionali ormai non li legge più nessuno. Peraltro, anche l'annuncio dagli altoparlanti non ha prodotto effetti particolari. In palestra la maggior parte delle persone indossa comunque cuffie o auricolari ed è quindi isolata dal mondo esterno. E gli altri fanno finta di non sentire.

Avvisi e ammonimenti diventano tanto più inutili quanto più spesso vengono ripetuti. Entrano da un orecchio ed escono dall'altro – si fa, cioè, orecchio da mercante. Queste disposizioni dovrebbero entrarci in testa e radicarsi in maniera indelebile nella nostra memoria, inducendoci a fare quello che ci viene ordinato o raccomandato; e invece, in modo più o meno consapevole, facciamo proprio l'esatto contrario. Il COVID-19 ha mostrato in tutta evidenza che senza costrizioni e senza sanzioni le cose non funzionano. Eppure si tratta della salute di tutti noi – e cosa c'è di più vicino al concetto di sostenibilità se non una condizione di piena salute? Del resto, oggi la sostenibilità non è la dottrina predominante in assoluto? Forse a parole, in realtà. Ma quando si tratta davvero di sostenibilità, la maggior parte delle persone fa orecchio da mercante. Si tratta di un comportamento estremamente calzante per i fenomeni a cui stiamo assistendo ormai da decenni. Da quanto tempo ormai il surriscaldamento globale è un tema di attualità? Da quanto tempo ci troviamo nella fase di uscita dall'era dell'energia atomica? Quando esattamente dovrebbe giungere al termine l'era dei combustibili fossili? Da quanto tempo discutiamo di ingiustizie nel mondo, fame, iniquità sociali, discriminazione razziale e temi analoghi? Da un'eternità, verrebbe da dire! Molti temi erano di attualità già durante la mia infanzia, poi nella mia giovinezza, poi durante le chiacchierate con i miei stessi figli, e lo sono ancora oggi che ho le tempie incanutite già da parecchio tempo. In questo modo, purtroppo nel corso degli anni si sviluppa una progressiva insensibilità, e a un certo punto accade: si cambia canale quando ad es. in televisione vengono affrontati certi temi, oppure si fa orecchio da mercante. 

 

Fare orecchio da mercante porta all'ottundimento

La fame costituisce un esempio eccellente di insensibilità. Quando per la prima volta nella mia vita ho visto in bianco e nero il volto della fame in Africa al notiziario in televisione, volevo smettere di mangiare. Le immagini di quei bambini scheletrici mi avevano colpito così tanto che avrei voluto spedire all'istante tutte le nostre provviste di casa direttamente in Biafra. Ero inconsolabile. Da ragazzo, avevo scelto di dimostrare assieme ad altri contro lo spreco di denaro dei fuochi d'artificio di Capodanno con lo slogan «Meno petardi, più pane». Eppure nel corso di tutti questi anni il tema della fame è evaporato in mille rivoli. Soltanto se talvolta in televisione tornano a scorrere le crude immagini di questa tragedia, ci si sente improvvisamente chiamati in causa. Ma per fortuna nessuno ci obbliga a stare incollati allo schermo, e in men che non si dica torniamo a rimuovere tutto dalla memoria e dalla coscienza. Come si suol dire: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Una singola persona è comunque impotente davanti all'immanità del problema e sente di non poter dare alcun contributo alla soluzione – è infatti invischiata nel tipico dilemma dell'individuo. Ci si autoconvince che il proprio contributo sarebbe solo una goccia nel mare, incapace di salvare alcuna vita umana. Invece, se tutti partecipassero attivamente, presto la fame sarebbe solo un ricordo. La rinuncia a un millesimo di ciò che nei Paesi industrializzati altamente sviluppati consumiamo ogni anno estirperebbe definitivamente la fame nel mondo. Lo so, concediamo pure che questo comportamento da solo non risolverebbe il problema alla radice, ma di fatto per noi non costerebbe niente. Il mondo della politica è sempre restio ad aumentare le tasse, in quanto così mette in gioco la propria rielezione. Non solo: per mettere in riga un dittatore africano, o men che meno per farlo cadere, è sempre necessario prima un ampio consenso – e per trovarlo ci vogliono anni o addirittura decenni, se mai possibile. Allora è più comodo fare orecchio da mercante, e presto raggiungeremo uno stato di totale ottundimento e il problema sarà scomparso dai nostri occhi. 

 

Anche la politica fa orecchio da mercante 

Uno sguardo alla situazione attuale in Bielorussia è più eloquente di mille libri: siamo tutti sconcertati e indignati davanti alla brutalità con cui a Minsk e in altre città bielorusse vengono represse le dimostrazioni. Agli occhi del consenso occidentale i manifestanti sono chiaramente nel giusto, in quanto non sono più disposti a tollerare un dittatore che si è macchiato anche di gravi brogli elettorali. Eppure la cosiddetta comunità internazionale degli Stati per il momento tace e sembra venire allo scoperto solo con lentezza estrema. Le democrazie occidentali esitano a manifestare le proprie reazioni per «timore» di un intervento russo. Ebbene, si tratta di una scusa bella e buona, nient'altro. Finora l'UE e la cancelliera Merkel hanno fatto così poco perché si piegano davanti a Putin, bisognerebbe piuttosto dire. Ma alla fine Putin non potrà salvare Lukashenko, in quanto le manifestazioni non sono contro la Russia, ma contro il totalitarismo. Per Trump la Bielorussia è una realtà lontana e le sue energie sono ora concentrate tutte sulla campagna elettorale. La situazione in Bielorussia è sfuggita di mano in misura tale che nessuno Stato che si definisce democratico può oggi avallare una prosecuzione del regime di Lukashenko. In uno scenario del genere la pressione diplomatica collettiva non può essere alta abbastanza, e resta solo da sperare che altrettanta pressione venga esercitata anche dietro le quinte. Le sanzioni colpiscono invece le persone sbagliate. Il tempo di Lukashenko è senz'altro scaduto. Ogni giorno in più in cui resta al potere porta ulteriore devastazione a causa degli episodi di violenza e dell'escalation della situazione. Ma ipotizziamo che Lukashenko riesca a mantenere le redini del potere: quanto tempo passerebbe prima che tutti noi facciamo orecchio da mercante? Sei mesi? Di sicuro non molto di più, come ci insegna il caso del COVID-19.

 

Orecchio da mercante digitale

Grazie alla digitalizzazione, oggi tutto funziona molto più in fretta. Sullo smartphone la maggior parte di noi fa comunque orecchio da mercante in modo cronico. Basta dare uno sguardo a una piscina in un pomeriggio estivo: le persone prendono il sole senza alcun rispetto del distanziamento, quasi l'una sopra l'altra, e tutti hanno lo sguardo fisso sul telefonino: alcuni giocano, altri guardano video, molti chattano invece di parlare con i propri vicini, e poco meno di una persona su sette ha scaricato l'app SwissCovid. Si tratta infatti di un'applicazione utilizzabile su base volontaria, che peraltro non funziona bene, e le autorità non hanno comunque il contact tracing sotto controllo. Del resto, se anche un consigliere federale fa orecchio da mercante e dichiara pubblicamente di non aver scaricato l'app perché non ha dimestichezza con le diavolerie digitali, non può certo trattarsi di qualcosa di davvero importante. La politica ha agito in modo troppo incerto e impacciato a tutti i livelli, dimostrando fin dall'inizio una spiccata ritrosia ad assumere decisioni autoritarie. Né la Confederazione, né i Cantoni o i comuni sono così riusciti a mantenere viva a lungo la fiammella della tanto decantata autoresponsabilità delle persone. La gente è quindi passata ormai da tempo alla modalità di ottundimento e non vuole saperne più di coronavirus, COVID-19 e compagnia bella. Contro l'atteggiamento di orecchio da mercante funziona quindi solo un martellamento mediatico permanente e l'imposizione di misure coercitive. Ma nell'era dell'antiautoritarismo questo non sembra essere un buon piano.