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Il parere dell’economista capo di Raiffeisen

Edizione 30.04.2024

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Buy now, pay later

Il metodo di pagamento «buy now, pay later» (compra ora, paga dopo) gode di una crescente popolarità in tutto il mondo. Le aziende fintech, come ad esempio la start-up svedese Klarna, rendono possibile effettuare acquisti a credito. Il successo di questa opzione di acquisto è talmente eclatante che la giovane azienda è già diventata un c.d. «unicorno». Questo termine definisce le start-up a cui gli investitori attribuiscono una valutazione di oltre un miliardo di dollari. Anche qui in Svizzera i servizi dell’azienda svedese vengono utilizzati con assiduità sempre maggiore. In terra elvetica Klarna offre l’opzione di pagamento a 30 giorni e non richiede né commissioni né pagamenti rateali, in quanto il grado di sicurezza dei pagatori svizzeri è ritenuto molto buono a livello internazionale. Anche sui pagamenti rateali fissi fino a 60 giorni dopo l’acquisto non si applicano interessi.

Ed è proprio il principio del «buy now, pay later» che la popolazione svizzera ha abbracciato anche in occasione del recente referendum sulla 13esima mensilità AVS. L’elettorato ha infatti deciso di concedersi un aumento dell’AVS senza che le relative modalità di finanziamento venissero precedentemente disciplinate. Già il fatto stesso di portare alle urne progetti di votazione privi di una copertura finanziaria sicura è di per sé quantomeno discutibile. In questo modo, infatti, si fa passare deliberatamente in sordina l’aspetto dei costi e soprattutto chi sarà in ultima analisi a pagare il conto.

Ad apparire particolarmente interessante è l’analisi del comportamento elettorale: secondo i dati dell’analisi Vox, nella mia fascia di età il 65% delle persone ha votato a favore dell’iniziativa. Se però chiedo tra la mia cerchia di conoscenti, soltanto il 10% circa ammette di aver votato «sì». Sembra proprio che occorra del coraggio per ammettere di avere espresso il voto nel mero interesse del proprio portafoglio. Ancora più sorprendente risulta peraltro l’analisi del comportamento alle urne da parte dei giovani. Circa il 46-47% delle persone al di sotto dei 40 anni ha infatti votato a favore dell’iniziativa. Evidentemente i giovani non hanno capito che gli aumenti di rendita non potranno essere lontanamente finanziati con i contributi delle persone nelle fasce di età superiori a 50 anni, e che alla fine saranno proprio i giovani stessi a dover coprire la differenza – con un aumento dell’imposta sul valore aggiunto oppure tramite maggiori deduzioni salariali. Per questo motivo i referendum di questo tipo sono veri e propri specchietti per le allodole: sono estremamente accattivanti (basti pensare a concetto di «aumento di rendita»), ma finiscono per gravare in misura sovraproporzionale e abnorme su determinate fasce di popolazione. I più anziani hanno invece capito benissimo che i grandi beneficiari di una 13esima mensilità AVS sono proprio loro. L’affluenza alle urne è stata infatti pari al 69% per le persone tra i 60 e i 69 anni e addirittura del 75% tra gli ultrasettantenni, mentre tra gli under-40 si è recato alle urne soltanto il 43% degli aventi diritto. Quasi due aventi diritto su tre che non hanno espresso il proprio voto hanno dichiarato di aver avuto un contrattempo o di essersi semplicemente scordati di votare. Una dimenticanza dispendiosa se si considera che la soluzione di distribuzione a pioggia così approvata presenterà un conto molto salato. Secondo l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, già dal 2027 l’AVS scivolerà in terreno negativo con una lacuna di finanziamento che entro il 2040 lieviterà a 12 miliardi di franchi – all’anno, ben inteso!

È interessante notare come i timori di chi ha votato «no», secondo cui l’iniziativa causerà un aumento dell’IVA e delle imposte sui salari riducendo quindi il potere d’acquisto del ceto medio, non sono stati condivisi da oltre due terzi di coloro che hanno votato «sì». Ciò significa quindi che la maggioranza dei favorevoli all’iniziativa spera che per il finanziamento si trovino fonti alternative. Tale speranza appare tuttavia destinata a restare utopia, come hanno dimostrato le proposte di soluzione presentate dalla Consigliera federale Baume-Schneider. Sono infatti contemplate soltanto due varianti: un finanziamento unicamente tramite i contributi salariali oppure un finanziamento attuato mediante la combinazione di tali contributi e di un aumento dell’IVA. In un modo o nell’altro, entrambe le soluzioni graveranno in misura più che proporzionale sulle giovani generazioni.

Sarà interessante osservare come si comporterà l’elettorato svizzero quando queste due proposte di finanziamento verranno prossimamente portate alle urne – cosa che appare piuttosto certa. Alcuni sembrano ancora cullarsi nella pia illusione che sia possibile individuare una modalità di finanziamento indolore. Inizialmente era stata ventilata anche l’ipotesi di prendere i soldi necessari dalla Banca nazionale svizzera. Ma da quando la BNS non è più nemmeno in grado di distribuire i dividendi ordinari, questa opzione si è sciolta come neve al sole. Non è stata invece ancora del tutto archiviata l’idea di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, per quanto dopo un’attenta analisi anche questa appaia una soluzione poco probabile. Le tasse sulle transazioni finanziarie non costituiscono una novità assoluta: sono state infatti già sperimentate in diversi Paesi, con risultati piuttosto deludenti. In Svezia, il Paese che per primo ha sperimentato l’applicazione di una simile imposta, la conseguenza è stato un massiccio deflusso dei volumi di negoziazione a favore delle piazze estere. In Francia e in Italia si è cercato di evitare i principali errori di costruzione, ma il gettito generato risulta modesto. Molti ignorano peraltro che la Svizzera applica già da tempo una tassa sulle transazioni finanziarie sotto forma della tassa di bollo sulle emissioni azionarie e obbligazionarie. Questa tassa di negoziazione genera entrate significative per lo Stato, ma al contempo ha fatto sì che gran parte del mercato obbligazionario si trasferisse all’estero, con un conseguente indebolimento della piazza finanziaria elvetica. All’orizzonte non si delinea quindi alcuna soluzione semplice. E, in ultima analisi, l’effetto sarà del tutto analogo a quello del meccanismo «buy now, pay later»: alla fine arriva sempre il conto (salato).

Fredy Hasenmaile

Fredy Hasenmaile

Economista capo di Raiffeisen

Fredy Hasenmaile è economista capo e responsabile dell'Economic Research di Raiffeisen Svizzera dal 2023. Insieme al suo team, Fredy Hasenmaile analizza gli sviluppi globali e nazionali dei mercati finanziari ed economici. Rientra nei suoi compiti quello di interpretare gli eventi in ambito economico e di formulare previsioni sui principali indici economici.